Niente lavoro ai meridionali

Una questione di accento

    di Mimmo Della Corte

«Il peggior disprezzo è la noncuranza», era solito affermare il mio defunto nonno paterno, quando si sentiva offeso dal comportamento di qualcuno. Così, coglieva i classici «due piccioni con una sola fava»: evitava di rodersi il fegato e, allo stesso tempo, anche d’ingigantire una polemica che, magari, era scaturita soltanto da una sua cattiva interpretazione delle parole del suo contraddittore. Questa è stata la prima cosa che ho pensato nel momento in cui ho letto dell’affronto subito da Maria Cristina, quarantenne napoletana, in Svizzera, dove si era recata per un colloquio di lavoro, facendosi precedere ed accompagnare da un curriculum di tutto rispetto e forte di ben 15 anni di esperienza nel settore del marketing. Avrei voluto, cioè, far niente e sorvolare sulla questione. Immediatamente, però, mi sono reso conto che questa non era una vicenda sulla quale era possibile comportarsi con la stessa nonchalance del mio avo. Intanto, perché non è il primo caso del genere che si verifica e perché le affermazioni di quello pseudo manager «Signora, lei ha tutti i requisiti, ma non possiamo assumerla: ha l’accento meridionale» non possono essere fraintese. Puzzano di antimeridionalismo anche a mille miglia di distanza.

Di più, perché, questa sentenza senza appello è stata pronunciata immediatamente, dopo pochi secondi dall’inizio dell’incontro, dimostrando, così, che era stata scritta già prima che questo presunto datore di lavoro e l’aspirante segretaria si sedessero al tavolo per il colloquio. Aver costretto una persona - nello specifico una donna, ma avrebbe potuto trattarsi anche di un uomo e la valutazione non sarebbe cambiata neanche di un punto - a percorrere quasi mille chilometri, con in cuore la speranza di  un posto di lavoro, per poi umiliarla solo perché la sua cadenza dialettale è troppo accentuatamente sudista è un affronto portato, non solo alla diretta interessata, ma a tutti i figli dell’Italia del tacco. Tanto più che si trattava di una caratteristica già conosciuta. Maria Cristina, infatti, aveva già avuto diversi colloqui telefonici con funzionari dell’azienda e - dal momento che non penso si sia preoccupata, in quelle occasioni, di nascondere la propria inflessione,  facendosi sostituire al telefono da un’amica reduce da corsi di dizione - per cui, il suo accento era già arrivato alle orecchie incontaminate e pure delle «guardie svizzere della pronuncia» e, per altro, la sua provenienza napoletana era chiaramente indicata nei dati anagrafici del curriculum inviato. Avrebbero potuto dirglielo allora. Sarebbe stato comunque un atteggiamento censurabile, di stile lombrosiano, ma almeno le avrebbero risparmiato la fatica di 16 ore di viaggio, i soldi necessari per pagarselo, solo per sentirsi leggere il cartello virtuale apposto all’ingresso dell’azienda «vietato l’ingresso ai meridionali».   Un comportamento che, a mio parere, fa il paio con l’infelice cinguettata dell’ex deputato Pd, Mario Adinolfi, a proposito dei rifiuti tossici sotterrati nella «terra dei fuochi». «Si sono fatti devastare tacendo dalla camorra che ha interrato per anni rifiuti tossici, ora fanno le manifestazioni. Che popolo di merda». Purtroppo, nel cinguettare, ha dimenticato l’antica saggezza che non sbaglia mai e secondo la quale «ognuno con il proprio metro l’altrui misura». E se tanto mi dà tanto...





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