Amorevol-Mente, storie tossiche

VI puntata della rubrica sugli amori da incubo dedicata all'abuso di controllo

    di Vanna Morra

Erano le due di notte, ero al buio seduta alla mia scrivania, solo la luce di una lampada faceva da occhio di bue al computer. Scrivevo un articolo da aggiungere agli altri affinchè, a fine percorso, potessi iscrivere il mio nome all’albo dei giornalisti. Era un mio desiderio da tempo e finalmente avrei potuto realizzarlo ma in una relazione piena solo di Lui, io rubavo scampoli di tempo da dedicare al mio obiettivo. Quando mi riusciva. D’un tratto sobbalzai dalla sedia, era “quello là” entrato in stanza a farmi sentire la sua roboante presenza nonostante mi girasse intorno in assoluto silenzio. Nella mia testa, però, si faceva sempre più nitida la musica de “Lo squalo”: “dam dam dam dam…”, riuscite a sentirla anche voi?

«E’ un’intervista a un cantante», ha bisbigliato la mia voce quando si è affacciato nel monitor del portatile. Nessuna parola, nessun cenno, solo la sensazione di gelo che avvertivo ogni qualvolta preavvisavo l’imminente tempesta che mi avrebbe travolta.

Erano passati due giorni da quella notte quando, rientrata a casa, sulla mia scrivania troneggiava spavaldo un pc fisso con monitor gigante al posto del mio portatile. Lui me lo mostrò con quel ghigno maligno che nemmeno se si fosse sforzato avrebbe potuto assomigliare vagamente a un sorriso.

«Cos’è questo coso? Dov’è il mio computer?», ho chiesto sconcertata.

«E’ questo il tuo computer».

«Non è mio, non ci sono le mie cose qui dentro e non lo so usare!». Ho osato ribattere e sull’ultima affermazione anche Carrie Bradshaw mi avrebbe compresa perfettamente.

«Le tue cose non ci sono più, non esistono più». Avete presente Jack Nicholson sulla locandina di Shining? Ecco, così.

Un computer completamente vuoto e non predisposto alla connessione Wi-Fi. Abbiamo letto bene, sì, NON predisposto alla connessione Wi-Fi. Adesso è paradossalmente questa la fantascienza. Aveva resettato la mia vita, l’aveva completamente programmata a suo abuso e consumo e adesso aveva resettato anche il pc, l’unica cosa rimasta solo mia.

A lui, ovviamente, ancora non bastava vedermi sgomenta, nel vortice del vuoto cosmico, a chiedermi per la milionesima volta “sta accadendo davvero?”.

Per i narcisisti patologici non sarà mai abbastanza. La nostra sofferenza, le nostre reazioni, qualunque tipo di reazione, sono linfa vitale per il loro ego fallito e frustrato sotto mentite spoglie di onnipotente. Dovremmo ricordarci che, in realtà, avremmo un’arma potentissima per colpirli: l’indifferenza.

«Vuole fare la giornalista, adesso la chiama a scrivere Vanity Fair!» e qui la sua risata è stata chiara, sarcastica, fragorosa e denigrante.

«Pensa alle cose serie invece delle stronzate». Indicandomi quel “coso” asettico più anaffettivo di lui.

«Tutto quello che vuoi fare tu sono solo stronzate, non sarai mai nessuno, non scriverai mai!» sentenziò con tutta la cattiveria che aveva in corpo.

Dalla puntata precedente:

Ma perché lo fanno? Cosa ci vogliono dire con questo trattamento? Lo fanno per avere il controllo su di noi e ci stanno dicendo, in pratica, che noi esistiamo solo se e quando loro lo decidono.

Se esiste qualcosa che possa minare il loro controllo sulla nostra vita o che possa solo distogliere la nostra attenzione da loro, allora quella cosa va distrutta quanto prima. Hanno il bisogno smisurato di essere il centro del nostro mondo, proprio come hanno fatto con noi nella fase, strategica per loro e di idealizzazione per noi, del “love bombing”.

Riflettiamoci insieme. Ci sentivamo al centro del mondo quando loro si sono insinuati “amorevol-Mente” in tutte le aree della nostra quotidianità?

Immaginiamolo come fosse un tutorial. Durante il bombardamento d’amore, quando ammaliate dai violini che suonano a festa accompagnati dagli altri strumenti e dirige l’orchestra Beppe Vessicchio, i manipolatori ci stanno indottrinando su come ricambiare una volta che loro avranno gettato la maschera. Il controllo su di noi è il primo scopo, il secondo è quello di annientarci. Le tecniche con cui mettono in atto il maleficio premeditato sono varie, tra queste la svalutazione. Controllo e svalutazione, una combo micidiale.

La dottoressa Ivana Napolitano, psicologa e psicoterapeuta, ci spiega le dinamiche del controllo e la svalutazione in una relazione tossica.

In una relazione tossica il manipolatore risulta ipercontrollante nei riguardi delle sue partners in quanto, per poter agire machiavellicamente e strategicamente deve evitare che qualcosa esuli dal suo dominio, impone infatti il suo pensiero in ogni aspetto della vita della sua donna. Lo stile di tali relazioni patologiche è dispotico e repressivo: il manipolatore limita la sua donna, la schiaccia, la deprime rendendola dipendente e poco intraprendente, incapace di reagire alle ingiustizie ed ha il solo obiettivo di indurla ad accettare i suoi dettami, la sua volontà totalitaria. Dopo il corteggiamento spietato del love bombing il manipolatore cambia gioco. La persona che inizialmente era sembrata come il “Salvatore”, l’amore tanto atteso di una vita, l’uomo speciale, dopo poco è la stessa che maltratta, mente, annienta la sua e solo sua isolata donna. Il manipolatore di solito possiede un falso “sé”, per sopravvivere psicologicamente ha bisogno dell’altro e della sua costante approvazione, tutto ciò che crea è menzognero e sostenuto dalla sua incapacità di provare sentimenti autentici. La sua “preda” ha due funzioni precise: sostenere il suo precario “ego” con annessi imposti e incondizionati e rappresentare il contenitore delle sue frustrazioni dove egli proietterà, con cattiveria e rabbia, offese e denigrazioni, sentimenti intollerabili quando rivolti a sè stesso. 

Difatti mi definivo il suo “sfogatoio”, ad ogni modo, dopo aver cercato ovunque per casa, del mio portatile nemmeno l’ombra.

“Ah, lo sgabuzzino!” Niente, nemmeno nello sgabuzzino. Alzo gli occhi al cielo, più per sconfitta che per intuizione, ed eccola lì, la tracolla della “sobria” borsa fucsia che custodiva il mio pc venuta in mio soccorso penzolando dallo scaffale più alto, raggiungibile solo con lo scaletto. Ero diventata questo, insieme all’unica cosa che mi apparteneva, un oggetto da mettere da parte, sullo scaffale più alto, quello su cui ammuffirà per sempre la roba inutile. Non so per quanto tempo sia rimasta con il naso in su a fissare quel cumulo di “nulla” che nascondeva non del tutto il mio obiettivo.

Ero stata ancora una volta umiliata, derisa, svilita e da chi poi? Da uno che a conti fatti si sentiva più fallito di me e a cui ho permesso di camuffarsi da Dio. In quel preciso istante sono stata schiaffeggiata e riportata alla realtà dai miei lucidi “che cazzo ci faccio ancora qui?!”. In quel preciso istante ho ridimensionato il padrone abusivo della mia vita. E’ stato in quel preciso istante che ho deciso di scappare via da quella casa.

Vanity Fair non è mai stato nei miei piani e di sicuro non sarò nessuno se non, semplicemente, Vanna Morra ma oggi scrivo da giornalista e la scrittura è diventata la mia professione.

 

 





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