Dunkirk, la guerra firmata Nolan

Cast stellare, dialoghi all'osso e giochi temporali: il film del regista britannico conquista

    di Antonio Di Dio

Ebbene sì, lo ammetto, anche io sono stato vittima di quel cartellone dove la scritta “Dunkirk”, pellicola diretta dal regista britannico Christopher Nolan, risuonava ormai da giorni come un inno alla gioia cinematografica. Film uscito nelle sale il 31 agosto, in cui il regista, dopo i successi con la trilogia del Cavaliere Oscuro, Inception e Interstellar, ci descrive la “situazione paradossale” dell’evacuazione di 400.000 soldati inglesi ad opera della Royal Navy dal porto della cittadina francese di Dunkirk, sotto i bombardamenti dell’aviazione tedesca. La “voglia matta” di riconquistare la sala con una pellicola dalle premesse roboanti ha fatto sì che mi ritrovassi immerso fino alla gola in quel fazzoletto di mare pregno di cadaveri e speranze di una guerra combattuta molti anni fa.

La trama è risaputa, e ci arriva direttamente dai libri di storia, per il resto il film si divide tra terra: dove gli eserciti inglesi e francesi si ritrovano ammassati sulle spiagge di Dunkirk nella speranza di un salvataggio via mare; il cielo: dove l’aeronautica inglese (Raf) cerca di correre in aiuto dell’esercito britannico vittima di ferrati attacchi da parte della Luftwaffe tedesca; e il mare: dove numerose imbarcazioni civili partite dalle coste inglesi solcano la manica per andarsi a riprendere i propri figli al di là del mare. Le tre storie legate da un flusso temporale e un montaggio che all’inizio stentiamo a riconoscere come ordinato, creano un duplice livello di narrazione tra il dopo e il prima, un racconto nel racconto a cui Nolan ci aveva già abituati con Inception, e in parte con la questione del tempo in Interstellar, ma che questa volta ci permette di intrecciare le vite dei nostri protagonisti in modo da restituirci l’arco di una singola giornata come un infinito lasso di tempo, accrescendo l’aspetto ansiogeno attraverso cui l’intero film ci mantiene saldi dall’inizio alla fine.

Il film che non eccelle certo per i dialoghi, ci viene raccontato attraverso gli occhi e i gesti dei nostri protagonisti, vedi l’aviatore interpretato da Tom Hardy (Il cavaliere oscuro-il ritorno, Inception e The Revenant), il comandante della marina interpretato da Kenneth Branagh e il civile a cui ha prestato il volto l’attore Mark Rylance che già avevamo avuto modo di apprezzare nel “Ponte delle spie” accanto a Tom Hanks. Un cast stellare a cui si sono aggiunti Cillian Murphy, Fionn Whitehead e l’ex “One Direction” Harry Styles. L’intera pellicola che si snoda tra pura sopravvivenza, atti eroici e non, e un senso del dovere tipicamente inglese che solo nel finale strizza l’occhio ai francesi, dopo una prima parte lenta e a brevi tratti confusionaria riemerge nella seconda parte come un sommergibile per troppo tempo immerso, mostrando tutta la sua enorme potenza espressiva con sequenze da far accapponare la pelle anche agli amanti del balletto classico, e che avrebbe fatto sorridere compiaciuto anche il vecchio e caro Churchill, che di quella evacuazione ne fece, giustamente e intelligentemente, una vittoria morale destinata a cambiare per sempre le sorti del secondo conflitto mondiale. 





Back to Top