Fotografia, Dioniso-il Chiaroscuro
Mostra alla scuola di flamenco Amor de Diòs di Madrid. Intervista a Regina De Luca
di Adriano De Simone
Si è inaugurata a Madrid il 27 febbraio, nell’antica scuola di flamenco Amor de Diòs nella omonima strada, la mostra fotografica "Dioniso-il Chiaroscuro", titolo intrigante, che suggerisce diverse ipotesi e invoglia a parlarne direttamente con l’autrice. Regina De Luca, napoletana, laurea alla Sapienza di Roma in lettere e storia dell’arte, ha studiato cinema e fotografia e vive a Madrid da tre anni. Le chiediamo il rapporto tra il tema della sua mostra, le fotografie del maestro di flamenco, Cristian Almodòvar, e il titolo, per sentirci rispondere che i rapporti tematici sono di solito da intuire, più che da spiegare. Le chiediamo di parlarci di questa danza che dovunque è sinonimo di Espanidàd.
«Il Flamenco è stato strumento di una diffusione orale della cultura che ha il suo emblema nei rapsodi greci. È la musica del popolo gitano, è la storia delle sue migrazioni secolari e degli scambi tra Medio Oriente e Mediterraneo, fino allo stanziamento che mise radici, nel XV secolo, specialmente in Spagna, in particolare in Andalusia».
La cultura gitana ebbe diverse contaminazioni con le altre del tempo…
«Specialmente con quella araba ed ebraica. Il Flamenco divenne strumento di ribellione tacita e veniva danzato alla presenza delle classi aristocratiche contro le quali si rivendicavano i diritti negati, ma senza che i destinatari inconsapevoli ne scorgessero lo scopo segreto. Tutto ciò, e molto altro ancora della sua storia, spiega anche il perché la sua fierezza sia come velata da una costante malinconia. Il duende è il mistero sempre pronto a irrompere nello schema razionale della danza e a creare una frattura, come avviene per il chiaroscuro, dove il contrasto tra apollineo e dionisiaco, tipico del duende, da forma e corpo al personaggio, lo ricrea e lo riplasma secondo gli obiettivi dell’artista».
Derivazione del flamenco è il tango...
«E non solo. Anche il flamenco non è uno solo, ma ha vari stili e varie fonti d’ispirazione e si esprime in modi diversi».
Come il chiaroscuro che lei abbina a Dioniso nel titolo.
«Il chiaroscuro, tipico della pittura rinascimentale e barocca, vive di contrasto. Non ho avuto dubbi quando ho scelto un fondo nero e una sola luce, da sinistra: la voglia di potenza che c’è nel flamenco c’è anche nella luce e nel buio che, alternandosi o contrastandosi, danno al dipinto vita e movimento, una vita senza freni, alla quale abbandonarsi, o da tenere a bada nelle sue parti scure: torniamo quindi al duende, sempre in agguato, con la sua ambiguità di luce e di tenebra, di dionisiaco e di apollineo».
Fotografare tutto ciò richiede convinzioni ben salde e ben precise…
«Richiede soprattutto che ci si creda. Che si veda in questo duplice fluire della vita la sua perenne capacità di trasformazione, non necessariamente decadente né truculenta, magari tragica: è uno dei pochi modi, forse l’unico, per creare un dialogo tra la macchina da presa e un mondo statico come la pittura».
Una domanda meno impegnativa: quale parte del corpo è più coinvolta nel ritmo della danza?
«Direi che, almeno per quanto riguarda la donna, le braccia, i polsi, la testa sono in primo piano, mentre gambe e piedi sono i mezzi espressivi privilegiati della danza maschile. Azzarderei però, che la parte più coinvolta è la testa, l'ascolto attento è l'unica cosa che riesce a coordinare tutte le parti del corpo, argina il duende e lo trasforma nella danza che conosciamo, senza un'immersione nella musica, senza capire il compas, qualsiasi tecnica dei piedi o delle mani, per quanto possa essere perfetta, è inutile. La chitarra è fondamentale, diversamente dalle precedenti forme della danza, e Paco de Lucia l’ha dichiarata addirittura lo strumento principe del Flamenco».
Abbiamo percorso alcune tappe della storia del flamenco. Può considerarsi ormai completa?
«Tutt’altro. Il flamenco si evolve continuamente arricchendosi di tendenze e di generi vecchi e nuovi, pur restando contemporaneamente sé stesso. La sua forza vitale, il dionisiaco che è in esso, lo rende unico per la sua forza di comunicazione. I suoi ritmi, le coreografie, la musica e il movimento diventano veri e propri dialoghi o descrizioni, come nella sevillana».
Quali considera i protagonisti indimenticabili del Flamenco?
«Tra i chitarristi Paco de Lucia, tra i ballerini Antonio Gades e Carmen Amaya, Vicente Escudero, Irlael Galvan, Eva la Yerbabuena tra i cantanti Camaron de la Isla, Estrella Morente, Miguel Poveda e naturalmente il mio maestro-protagonista della mostra: il grande Cristian Almodòvar».