Covid-19, diario dalla quarantena
Capitolo 1, giorno 16. Grazie coronavirus. Grazie al coronavirus
di Armando Yari Siporso
No, non sono affatto impazzito a causa degli arresti domiciliari imposti dal Covid19. Ne parlavo giustappunto, pocanzi, con il mio frigorifero che, peraltro, mi dava ragione (oltre che del cibo). Non si può che maledire un’epidemia su scala mondiale che, solo in Italia, anche se si fermasse oggi, farebbe contare ottomila vittime e oltre ottantamila ammalati accertati. Si può però, e forse si deve, quando si ha il privilegio di non essere colpiti da tali drammi, cogliere la maggior luce che, per contrasto, assumono gli aspetti positivi dell’esistenza.
Siamo di fronte alla più gigantesca occasione di riflessione globale offerta all’umanità dai tempi dello sbarco dell’uomo sulla luna. Quel giorno in cui il mondo intero si fermò, per poche ore. Tutto il pianeta, in quei momenti come in quelli attuali, era chiuso in casa. I bambini potevano, anche allora, guardare la Tv fino a tardi con i genitori. Il giorno dopo avrebbero potuto, esattamente come nel marzo del 2020, saltare la scuola per parlare con loro, con i fratelli e con gli amici di cosa stesse accadendo al genere umano.
Oggi, vittime della velocità del nostro tempo che ci rende incapaci di riflettere sulle cose importanti, stiamo vivendo - inconsapevoli - la stessa pandemia filosofica della quale racconteremo ai nostri figli le litigate con i parenti; le mancanze di libertà che, colpevolmente, davamo per scontate; il dolore di qualche amico che si sarà perso; la speranza nelle capacità della razza umana; la vulnerabilità delle emozioni; la solidità della forza interiore.
Ci sono però altre pagine di questo diario che non vanno perse. Ci sono storie per cui si deve ringraziare la sensibilità e l’intelligenza che rende capaci di coglierle. C’è una ragazza di Varese che, dopo tanti anni di lavoro, di sacrifici e di impegno determinato, riesce a comprare casa. Con coraggio accende un mutuo, con pragmaticità abbatte ogni muro e la fa ricostruire a immagine della sua fantasia. Ma, quando la casa è pronta per l’inaugurazione (con puntualità nordica, nel giorno del proprio compleanno) il suo indirizzo diventa una zona rossa. L’epidemia arriva in Lombardia, la quarantena si trasforma, da un racconto manzoniano, alla narrazione quotidiana dei telegiornali. Il trasloco lascia spazio ai bollettini della protezione civile e la casa resta vuota. Si torna nella villa della mamma, per la mamma.
Ma c’è un’altra ragazza a Varese, la vicina di casa della prima, l’amica di una vita. Stessa determinazione, altra professione. Lei è un medico e passa le ore dell’emergenza a curare i malati da Covid19 e le ore del riposo, la sera, fuori di casa. In giardino quando c’è luce e in garage con il freddo, mai nel suo letto. Perché anche lei ha una casa da sogno, ma la condivide con il papà immunodepresso. La scelta di curare gli altri le impedisce di stare accanto alla sua famiglia. L’affetto per il padre le impone di stargli lontano per non rischiare di contagiarlo. Preferisce raffreddarsi che immaginare i suoi genitori come i malati che assiste nei reparti di terapia intensiva. Sa esattamente quanto questa malattia sia insidiosa, ma sa anche che si batte con un paradosso. Il paradosso di non abbracciare chi vuoi bene, non baciare chi ami, non fare ciò che desideri. Per poco, per qualche mese, per poi continuare a farlo, a lungo, per sempre. La finestra della casa della prima ragazza affaccia sul giardino della seconda. Le due amiche si parlano, a distanza, perché si vogliono bene.
La prima scopre la storia dell’esilio forzato e del perché delle giornate all’aperto nonostante il gelo. A questo punto non ragiona, non serve. Il suo cuore ha già parlato, senza che lei nemmeno forse se ne rendesse conto, offrendole le chiavi del suo nuovo appartamento. Non è per quello che lo ha arredato. Non è certo un lazzaretto, quella casetta con il divano rosa e il maxischermo a led. Non è una cella d’isolamento quell’abitazione con la cucina a induzione e una doccia strafiga che ha cercato in tutta Italia.
E’ tuttavia l’oggetto materiale a cui tiene di più e per il quale lavora da anni. Di cui, però, si è privata in un secondo per la sua amica e il suo papà. Già, il suo papà. La prima ragazza non ha più il suo papà, ma ha dentro il suo ricordo che la rende e la renderà più forte di qualsiasi malattia e vicina all’amica che teme di perdere il suo.
Io che non ho più la mia mamma, se non in ogni angolo di ogni parte più bella della mia anima, so una cosa che il Coronavirus non conosce. Esiste l’amore. Non lo uccide la paura, non lo ammazza la morte.
Questa è l’umanità, immune ad ogni virus e impermeabile ad ogni calamità.