Decreto Cura Italia, attenti alle banche

Documenti e consigli sui prestiti agevolati ai tempi dell'emergenza coronavirus

    di Davide Martino

Recentemente mi sono occupato della concessione di prestiti agevolati per piccole e medie imprese con un massimo di 500 dipendenti al loro interno, nonché per liberi professionisti con partita iva e lavoratori autonomi che possono “agevolmente” accedere a una linea di credito pari a un quarto del fatturato prodotto lo scorso anno e comunque entro un massimo di € 25.000,00, allorquando dimostrino di aver subito delle perdite nel trimestre marzo/maggio 2020 di almeno il 30% del fatturato prodotto rispetto lo stesso periodo dello scorso anno.

Orbene dalla lettura del D.L. 18/2020 e dalle rassicurazioni del Governo e soprattutto del MEF la linea di credito garantita dallo Stato anche se non a fondo perduto (ma soggetta a tassi di interesse molto esigui) avrebbe dovuto e potuto consentire a tutti i beneficiari di poter avere liquidità immediata da immettere nella propria attività in questo grave momento di crisi economica e sanitaria mondiale.

Ma dal reiterato utilizzo di congiuntivi che sono stato costretto a utilizzare nei primi due capoversi dell’articolo è facile immaginare come tra le parole spese e i fatti concreti ci sia un’enorme differenza.

Il Governo con un eccesso di parole ha demandato nel pratico la concessione di dette agevolazioni alle banche confidando in “un atto di amore da parte degli istituti di credito, a tutela dei cittadini”; ma sappiamo che le banche non sono mai state avvezze a produrre amore libero, semmai possono ingentilirsi offrendo amore a pagamento. Per tale motivo la collisione tra quanto detto e la realtà dei fatti è stata repentina e immediata.

Le agevolazioni devono essere concesse a PMI, autonomi e professionisti allorquando dimostrano la cospicua riduzione patrimoniale a causa della pandemia Covid-19 senza alcuna istruttoria, in quanto le garanzie sono fornite direttamente dallo Stato, a tassi esigui che vanno dal 1 al 2 per cento e con il primo pagamento differito dopo le prime 24 mensilità, a riprova della volontà governativa di immettere immediata liquidità con il differimento del pagamento della prima rata dopo due anni.

In sostanza nel pratico basterebbe sottoscrivere il modulo di accesso al Fondo (scarica modulo), inviarlo anche tramite mail alla propria banca che, dopo il benestare del Fondo sulla presenza dei requisiti richiesti, procede all’erogazione della somma. Ma come premesso con gli istituti bancari il problema è dietro l’angolo, per cui la decisione di affidare la snella istruttoria alle singole banche e finanziarie si sta rivelando totalmente inadatta.

All’attualità, infatti, ci troviamo una molteplicità di anomalie che stanno compiendo i vari intermediari con il solo ed esclusivo fine di prendere tempo e arginare fino allo svilimento la massiccia ondata di richieste di finanziamenti agevolati. Nel dettaglio, come prima cosa è opportuno ripetere come la modulistica di accesso al Fondo dopo essere stata compilata deve essere presentata (anche con semplice mail) alla propria banca per l’accesso al finanziamento. L’istituto di credito dovrebbe, quindi, richiedere al Fondo di garanzia, costituito ad hoc dallo Stato per l’emergenza attuale, la veridicità dei presupposti propedeutici alla concessione materiale del finanziamento agevolato.

Così spiegata la procedura oltre a essere snella avrebbe dovuto consentire, con le doverose attese determinate dell’enormità di richieste, ossigeno liquido a tutte quelle categorie di imprese e lavoratori che rientrano nella casistica, anche in considerazione del differimento del pagamento della prima rata dopo ventiquattro mesi dalla sottoscrizione del finanziamento

Ma si sa, dove c’è banca c’è rischio. Quasi la totalità degli intermediari sta ostacolando la concessione agevolato del credito integrando la modulistica statale con quella interna ovvero decidendo di non aderire alle agevolazioni governative. Nel dettaglio Poste italiane tramite Deutsche, Credem, Monte dei Paschi di Siena, BCP e molti crediti cooperativi hanno deciso arbitrariamente di non adeguarsi alle prescrizioni di cui al D.L. “Cura Italia” per cui i correntisti delle richiamate banche dovranno affidarsi a istituti e/o finanziarie esterne per accedere al credito. Seppur non condivisibile, questa scelta netta di chiusura consente immediatamente ai consumatori interessati di indirizzare lo sguardo verso altri intermediari.

Il problema vero, semmai, è generato dalle altre banche che seppur formalmente hanno aderito al finanziamento agevolato, parallelamente stanno ostacolando l’istruttoria con inspiegabili cavilli che hanno il solo fine di allungare l’istruttoria fino a dissuadere i consumatori dalla richiesta dell’agevolazione.

Partiamo da Unicredit, Intesa San Paolo e BNL che rappresentano i maggiori istituti nello stivale. Qui la situazione è paradossale perché le sedi centrali hanno delegato l’istruttoria alle singole filiali, molte delle quali si sono inventate (è proprio il caso di dire) l’obbligo del “conto business” per accedere al beneficio.

Si tratta di un conto acceso da persone giuridiche che presenta dei chiari benefici indirizzati a società e possessori di partite iva, ma parallelamente ha costi annuali superiori al triplo di un conto corrente ordinario, ragion per cui sono davvero pochi i possessori di questo tipo di conto corrente. La norma statale non prevede affatto questo requisito, ma è stato riscontrato come moltissime filiali (in Unicredit solo alcune) stanno costringendo i richiedenti all’apertura del conto business per l’accesso al finanziamento; con la ovvia conseguenza che tutti coloro che possono beneficiare di importi esigui, in proporzione a un quarto del fatturato dello scorso anno, stanno rinunciando alla domanda.

Altra anomalia riscontrata anche da parte di altri istituti quali: Intesa San Paolo, Monte dei Paschi di Siena, BPM, BPER, Credem, Che Banca, Credit Agricole e ING consiste nell’affiancare alla modulistica governativa anche una modulistica interna contenente clausole e condizioni che non sono in nessun modo previste o richieste dalla legge, con il chiaro intento di limitare i beneficiari al credito agevolato.

Nel dettaglio i moduli “aggiuntivi” di richiesta presentano un elenco di attività istruttorie che mal si conciliano con quanto previsto dalla norma che parla genericamente di piccole e medie imprese e di persone fisiche esercenti attività di impresa, arti o professioni la cui attività d'impresa è stata danneggiata dall'emergenza COVID-19. Inoltre, le banche fanno dichiarare che il soggetto non ha già chiesto altre facilitazioni ad altre banche (cosa non prevista dalla norma). Ed ancora chiede all’impresa un ulteriore requisito non presente nella norma e cioè che alla data del 31 dicembre 2019 non si trovasse in condizioni di difficoltà come definite dal Regolamento UE 651 del 2014 articolo 2 punto 18.

Altre due condizioni molto strane riscontrate consistono nel subordinare la concessione del finanziamento alla conversione in legge del decreto (che ricordiamo potrà avvenire entro l’8 giugno). E si aggiunge anche che, in caso di mancata conversione in legge del decreto o sua conversione con modifiche, il prestito potrà essere concesso a condizioni diverse da quelle previste dall’articolo 13 comma 1 lettera m del dl 23 del 2020. Ovviamente due condizioni assurde. Il decreto legge è in vigore e resta tale fino alla sua conversione in legge. Sarebbe assurdo dovere aspettare fino all’8 giugno per poter ottenere il prestito ed allo stesso modo è assurdo prevedere che le condizioni economiche possano cambiare in corso d’opera. Se mai il decreto non venisse convertito o fosse convertito con modifiche allora le nuove condizioni varrebbero per il futuro non certo per le richieste attuali.

A corredo di questi inauditi comportamenti si precisa anche come la molteplicità degli istituti sta aggravando il costo del finanziamento inserendo gli oneri istruttori, fino a un massimo di € 500,00, laddove la norma prevede chiaramente che l’agevolazione non deve prevedere alcuna istruttoria.

Si tratta di comportamenti scorretti prontamente segnalati all’Antitrust. In effetti le banche richiedono delle condizioni non previste dalla norma e dunque impediscono al soggetto di poter usufruire delle facilitazioni visto che riceve dall’operatore delle informazioni non corrette che lo portano a fare delle scelte anche economiche che non avrebbe fatto o avrebbe fatto in altro modo se avesse avuto le giuste informazioni. La situazione è aggravata dal fatto che stiamo parlando di soggetti in difficoltà che a maggior ragione dovrebbero avere informazioni corrette per evitare ripercussioni negative.

A onore del vero è però doveroso evidenziare come in questo calderone di comportamenti illeciti c’è comunque un istituto di credito che sta seguendo la norma in maniera corretta adottando quell’amore verso i clienti che ingenuamente il Governo sperava adottassero tutti gli istituti.

Ubi banca sta, infatti, concedendo il prestito con una istruttoria snella, senza alcun costo aggiuntivo e prevedendo dei tassi di interesse che oscillano tra l’uno e il due per cento come previsto nel decreto. La buona notizia, quindi, giunge proprio da quella Bergamo (città in cui ha le proprie radici la Ubi) che seppur falcidiata e indifesa contro il virus oscuro ha avuto il coraggio di donare il sorriso agli italiani, al contrario della quasi totalità degli istituti di credito che anche nella crisi stanno esplorando le logiche del mero profitto.

In conclusione il D.L. “Cura Italia” dimostra, ancora una volta, l’inadeguatezza di un Governo armato di buoni propositi, ma che nei fatti latita e si dimostra finanche ingenuo come nel caso di specie, laddove ha delegato al mondo bancario l’iter procedimentale per la concessione del credito agevolato con la ovvia conseguenza di pesanti ritardi che porteranno alla chiusura di attività e perdita di posti di lavoro proprio in prossimità della fine delle restrizioni del lockdown.

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