Frizzi, un uomo perbene

Di lui restano la gentilezza, il darsi agli altri: qualità in via di estinzione

    di Amedeo Forastiere

Ero un ragazzino, non ricordo bene quanti anni avevo. Poiché ero un bambino molto vivace, quando mia madre usciva mi portava sempre con sé, evitava così al rientro di trovare qualche piccolo guaio. Un giorno mi portò alla chiesa del nostro quartiere, Santa Maria dei Miracoli, per i funerali di Don Armando. Non era un prete, ma una persona regolare, moglie e quattro figli. A quei tempi si dava il don alle persone come forma di rispetto, non a tutti naturalmente, solo a quelli che lo meritavano. Don Armando era un impiegato del Ministero della Difesa, aveva fatto la guerra in Africa per la conquista del “posto al sole”. Faceva l’infermiere nel reparto Sanità. Curava i feriti, gli ammalati, era molto bravo per le iniezioni entro muscolare, anche le flebo.

Era sempre disponibile per chiunque nel quartiere avesse bisogno di cure, aveva la mano leggera quando faceva le punture. Erano gli anni in cui non c'erano ancora le siringhe usa e getta, ma quelle di vetro, bollite in degli appositi recipienti, prima di essere usate con l’ago grosso e doppio…una vera e propria tortura! Don Armando dava la sua disponibilità a tutti come infermiere, sempre gratis.

Il parroco del quartiere, alto, moro, con la pelle scura, veniva chiamato da tutti, anche dai non tifosi di calcio “Don Pelé” come il grande campione brasiliano.

Quel giorno ai funerali di don Armando, la chiesa dei Miracoli era strapiena. Erano tanti che non lo conoscevano di persona, ma avevano sentito parlare della sua bontà e disponibilità, e così erano venuti per l’ultimo saluto. Il parroco, “Don Pelé”, che lo conosceva bene, alla fine dell'omelia salutandolo per l’ultimo viaggio, disse: «Con Armando se ne va un galantuomo, una persona perbene, un vero signore». 

A tutti funerali che ho assistito dopo quello di don Armando, mai più ho sentito dire «era una persona perbene, un vero signore». Convinto che certi sostantivi appartenessero a un linguaggio del passato, di costume quartierale, oggi fuori tempo, e moda.

Il 26 marzo il telegiornale dà la notizia dell’improvvisa scomparsa di Fabrizio Frizzi. Mi ha colto di sorpresa. Non l’ho mai conosciuto, nemmeno incontrato per caso nei corridoi degli studi televisivi nei tanti anni di frequenza. Per me era un conduttore televisivo garbato, elegante, preparato, non conoscendolo di persona lo vedevo da spettatore come tanti.

Mi ha colpito la grande manifestazione d’affetto che gli ha dimostrato una folla oceanica, non solo colleghi e persone che avevano lavorato con lui, ma anche di quanti lo conoscevano solo attraverso lo schermo televisivo. Lo stesso affetto che si riserva a un parente stretto, un amico di vecchia data, in poche parole a una persona a cui si vuole bene.

In tanti si sono domandati: «Ma perché Fabrizio era così tanto amato dai telespettatori?»

Cercare la risposta a un interrogativo che non ha il diritto di nascere in queste circostanze, non è facile, soprattutto per chi come me non l’ha mai conosciuto.

Ai funerali un cronista ha domandato a una donna anziana arrivata da Napoli perché era venuta al funerale. La donna dai capelli bianchi ha risposto: «Per me era come uno di famiglia, un nipote che la sera con il suo programma veniva a trovarmi, sapendo che vivo da sola mi faceva compagnia».

Purtroppo, come spesso accade, si conosce bene una persona famosa e chi era stata nella vita privata dopo la sua morte. Di Frizzi si sono saputi i gesti che ha fatto per gli altri, come donare il midollo a una ragazza che rischiava di morire (non è da tutti), e tante altre cose.

Ho seguito la funzione religiosa per televisione, il parroco che ha celebrato l'omelia, don Walter Insero, dopo aver ricordato tutto quello che ha fatto Fabrizio per gli altri, ha concluso dicendo: «Fabrizio Frizzi è stato un uomo amato da tutti, i colleghi che hanno lavorato con lui, e dai tantissimi che lo conoscevano solo attraverso lo schermo televisivo. Lo hanno amato e lo ameranno sempre perché Fabrizio era un uomo perbene, un vero signore…». Le stesse parole che disse don “Pelé” ai funerali di don Armando, che io pensavo perse nei tempi che furono!

Oggi si usano di rado, forse perché le persone perbene, i veri signori sono sempre più rari? Ragazzi siate sempre persone perbene, veri signori, non lasciate estinguere le specie…





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