Elisir di lunga vita

Mantenere giovane lo spirito a ogni età

    di Amedeo Forastiere

Spesso sento parlare: l’elisir dell’eterna giovinezza. Ne parlano nei talk show in tv, professori, studiosi, sociologi, ognuno ha una soluzione per combattere l’invecchiamento che segna il passare del tempo sul volto e nel cuore, inevitabilmente in ognuno di noi. Tutti sanno che noi abbiamo due età, quella anagrafica e quella biologica. Spesso non coincidono. Ad esempio, ci sono persone che hanno un aspetto o un comportamento che non coincide con l’età anagrafica. Giovani che per il modo di porsi sembrano vecchi, non solo nel vestire ma spesso anche nei movimenti. Sempre seriosi, come se ridere, scherzare, facesse parte di una vita passata, l’adolescenza lontana. Sono adulti, devono essere seri, così spengono la giovinezza. Diceva un vecchio saggio: se mantieni lo spirito giovane, non invecchierai mai.

Una vera ricetta non esiste, questo si sa, altrimenti qualcuno già l’avrebbe brevettata, commercializzata, diventando sfacciatamente ricco. Credo - probabilmente mi sbaglio - che ognuno di noi non dovrebbe mai far morire il ragazzo che era. Mi spiego meglio: l’ironia, il saper sdrammatizzare, divertirsi e far ridere gli altri, in poche parole cercare di non prendersi troppo sul serio, aiuta sicuramente a non invecchiare, a non dare la sensazione agli altri di essere vecchi, ma eternamente ragazzi: enfant terrible? Perché no.

La mia età biologica, il mio modo di vivere non coincidono con la data di nascita sul mio documento. Ricordo mia madre diceva: tieni semp’ ‘a stessa capa! Cioè quella di un ragazzo sempre pronto a scherzare, far ridere gli altri. Ho ascoltato pochi giorni fa una vecchia canzone napoletana: Core furastiere di E. A. Mario. È la storia di un emigrante napoletano che torna nella sua città dopo tanti anni vissuti in America. La commozione di rivedere i luoghi dove ha vissuto la sua infanzia. Prende una carrozzella, dicendo al cocchiere di portarlo in giro per la città. Il vetturino, convinto che il cliente sia uno dei tanti forestieri, lo chiama Mussiù. Dopo aver ascoltato questa vecchia canzone, ho pensato di tornare ragazzo e giocare, fare il turista, o’ Mussiù. Un personaggio inventato, come facevo da ragazzo quando sul terrazzo di casa mia con altri amici si giocava, ognuno si creava un personaggio: allora io faccio il guerriero, io invece il comandante, io quello che va a cavallo, io il prete. Le ragazze volevano tutte fare la bella principessa, anche quelle brutte, 'e scofanate. Non avevamo tanti giocattoli, per cui dovevamo inventarci tutto, oltre ai personaggi anche i vestiti. Riciclando vecchi abiti dei nostri genitori creavamo i costumi di “scena”. Per le armi bastava una mazza di legno per fare una spada, un fucile, quelle piccole diventavano pistole. La fantasia non ci mancava!

Così ho rispolverato la vecchia fantasia che avevo da ragazzo, per ritornare, anche se per poco, adolescente, giocare inventarmi un personaggio e divertirmi. Mo vi racconto “o’ fatto”. Dopo aver curato in modo particolare il look in tutti i suoi dettagli, per essere credibile, diventare un vero turista. Non è stato difficile, i turisti vestono quasi tutti allo stesso modo. Bermuda colore beige militare. Sandali a doppia fascia di cuoio con calzini rigorosamente corti e bianchi. Camicia larga mezza manica, disegno floreale molto appariscente. Cappello paglia Borsalino modello Panama. Marsupio di pelle marrone sopra cinghia. Macchina fotografica modello retrò poggiata sulla pancia. Da piazza Garibaldi prendo la metro per il Maschio Angioino. Non trovo subito la carrozzella, ormai sono rare, ma la perseveranza è la mia compagna fedele.

Dopo poco, con l’aiuto della mia fedele “compagna”, vedo passare una vecchia carrozzella, passo lento e stanco. Non saprei dire chi fosse più vecchio, se il cocchiere o il cavallo. Faccio un segno di alt con la mano e la carrozza si ferma. Salgo sedendomi dietro con aria da turista smarrito, quando circondato da tante bellezze non sa da che parte guardare.

Il cocchiere si gira e mi domanda: Americano?

Rispondo: No!

Il vecchio cocchiere ancora: Tedesco?

Io: No!

Ancora: Inglese?

Risposta: No!

Poi scrolla le spalle e sento: Va buo’!

Allora a quel punto sono io a prendere in mano la situazione. Con una lingua alla Totò, indecifrabile la provenienza, rivolgendomi al cocchiere dico: Paesano, tu portare vedere tutta Nuppula. Capisci a me? Piano piano, nu’ correre, capisce a me?

Così la vecchia carrozzella dal cavallo stanco, il cocchiere curvo e bruciato dal sole inizia la passeggiata, con il turista che non si sa da dove viene. Passiamo davanti al Maschio Angioino, il cocchiere fa da giuda turistica, si gira verso me: Mussiù, chisto è O’ Maschio Angioino, nu’ castello assaje antico. Si chiama accussj perché fu costruito nel 1279 per volere di Carlo I d’Angiò. Era un castello nuovo e forte, cioè nu’ Mastio. Ca’ po’ è diventato maschio, perché era nu’ poco difficile per i napoletani, e per onore a o Re Carlo l d’Angiò, addiventato o’ Maschio Angioino. Avete capito perché si Maschio Angioino Mussiù?

Lo guardo e annuisco senza rispondere, sorpreso dalla descrizione precisa e storica del vecchio cocchiere, tra dialetto e italiano. Cerco di assumere sempre l’espressione del turista che arriva a Napoli per la prima volta, attratto dalle tante bellezze, sia quella creata dall’uomo sia dalla natura. Mentre il vecchio cocchiere con lo sguardo indagatore si domanda: ma chisto e che paese è? Io mi diverto da matto, con la stessa enfasi di quando ero ragazzo e giocavo con i miei coetanei inventando un personaggio nuovo, adesso faccio il turista!

La carrozzella lenta e dondolante imbocca via Sa. Carlo. Il cocchiere: Mussiù, questo è il teatro San. Carlo. Il teatro lirico più antico, grande, e importante di tutta l’Europa. Una volta si chiamava il Real Teatro di San Carlo, quando c’era o’ Re. Carlo di Borbone. Lo facette costruire nel 1737 per dare alla città di Napoli nù teatro nuovo. O’ Re Carlo di Borbone affidò il progetto all’architetto, Giovanni Antonio Medrano, era nato in Sicilia a Sciacca, ma poi si trasferì con la famiglia in Spagna, e la’ studiò prima comm ingegnere e poi architetto, era bravo assaje! Solo otto mesi per costruire o’ teatro. Mussiù. 184 palchi più quello po’ Re, o palco reale. Ci potevano entrare 1379 spettatori. Poiché fu voluto dal Re Carlo I di Borbone, venne inaugurato il giorno di San Carlo, e perciò si chiama Teatro San Carlo. Il Re con la famiglia da palazzo reale passava direttamente al teatro senza uscire per la città. L’architetto Medrano fece costruire un passaggio apposta po’ Re. Mussiù ma voi mi capite?

Io: Capiscio tutto chello ca’ tu dici.

Dopo il teatro San Carlo, la carrozzella lenta va in piazza del Plebiscito. 

Mussiù chisto è palazzo reale, cca’ viveva o’ Re con tutta la famiglia. Non ci sta una data precisa, ma i lavori iniziarono nel 1600, poi si fermarono per mancanza di fondi, poi ripresero. Hanno lavorato diversi architetti, il primo fu Domenico Fontana, che morì presto, poi Gaetano Genovese, Luigi Vanvitelli, Ferdinando Sanfelice, altri ancora, c'à mo non mi ricordo, scusate Mussiù.

Il cocchiere mortificato abbassa lo sguardo, così lo rincuoro e gli dico: Io già canoscio la storia de Palazzo Reale, ma tu si bravo! Tu sai tutto cosa, ok!

Sempre in modo lento e stanco, la carrozzella scende per via Santa Lucia, mentre il tassametro corre veloce come il vento di Bora. Alla fina di via Santa Lucia, il cocchiere ferma il cavallo di fronte al Castel dell’Ovo: Mussiù chisto si chiama Castel del'Ovo. N’antica leggenda dice che il poeta Virgilio avesse nascosto sotto il castello, un uovo, che se si fosse rotto, crollava tutto il castello. Io nun c’è credo Mussiù, sapite pecché’. L’uovo e Virgilio nun è stato mai trovato! Tutto questo scoglio è un’isola che si chiama Megaride, l’imperatore romano Lucullo fece costruire una villa. Poi dopo tanti anni è diventato un castello.

Qui il cocchiere si perde un po’, forse la stanchezza, o non conosce bene la storia. Un’occhiata al tassametro che ormai è arrivato a cifre da “mutuo” decido di smettere di giocare, di “spogliarmi” dei panni del turista. Pago, con regolare mancia, na’ cifra. Saluto il vecchio cocchiere che mi ringrazia scappellandosi, ha preso il mio cuore per forestiere o’ Mussiù. L’ultimo atto del gioco da turista, mi avvio verso uno dei tanti alberghi su lungo mare, come se fosse quello dove alloggio, soddisfatto del gioco che mi ha riportato ai tempi dell’adolescenza.

Credo, forse per qualcuno sbaglio, ma giocare quando si è adulti, fa bene, rallenta l’invecchiamento. Vi lascio con un mio pensiero: Prenditi gioco della vita, non aspettare che sia lei a prendersi gioco di te.

Alla prossima ragazzi.





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