Ma quanto sei Hipster
Ritratto del dandy postmoderno
di Laura Cocozza
C’è una parola che scalpita per entrare nei miei post. Ormai la ritrovo dappertutto: in articoli di attualità, pin’s di moda, blog di cinema, persino per strada. È come quando conosci una persona che fino a quel momento non avevi mai visto prima e poi ti capita di incontrarla sistematicamente per i giorni a venire, a distanza ravvicinata e ti rendi conto che avevate in comune luoghi e amicizie.
Ecco, a me è successo lo stesso con questo termine: «Hipster» .
Per chi non lo sapesse (come la sottoscritta fino a qualche settimana fa), Hipster è un neologismo di origine americana che deriva dal termine slang “hip” ovvero "informato sulle ultime mode". Si usa per descrivere i gusti, le preferenze, lo stile di vita di giovani tra i 20 e i 30 anni, appartenenti ad una classe sociale medio alta, che vivono in centri urbani e seguono una cultura alternativa. Il termine nasce oltre settant’anni fa per indicare dapprima gli appassionati di jazz che vedevano in Charlie Parker il loro modello di riferimento, poi un tipo di intellettuale ribelle alla Jack Kerouac, poi una specie di esistenzialista made in Usa.
Infine, negli anni duemila, nel codice genetico dell’Hipster, strutturato su ironia e leggerezza, sono entrate a far parte molecole fatte di stile vintage e di devozione al biologico, alla bici a ruota fissa, alla cultura indie.
Il risultato è una sorta di dandy postmoderno che a differenza del dandy doc, - ricordate Jap Gambardella, di cui ho parlato nel precedente post? - non mira a épater la bourgeoisie (sconvolgere la borghesia) attraverso un ironico e cinico distacco dalla realtà, un individualismo esasperato e un’esaltazione della bellezza, ma ad adottare una filosofia di vita indipendente da ogni regola, tranne che per la moda e la musica, che elude l’attualità e la politica.
L’Hipsterim ci ha messo un po’ ad arrivare in Italia, dal nativo quartiere di Williamsburg, New York. È passato prima da Londra, fermandosi nei quartieri di Hoxton e Shoreditch, poi per Parigi a Belleville, poi per Berlino a Prenzlauer Berg. In Italia Bologna è stata riconosciuta, dal Sunday Times, come la città più hipster d’Italia, ma ormai in molti altri luoghi urbani ci sono zone hipster. A Roma sono il quartiere Pigneto, il rione Monti e il Testaccio. A Milano si concentrano a Nord, a Sud, all’Isola e sui Navigli dove sono spuntati tanti piccoli locali in stile retrò, con piatti home made e arredi naturali. A Napoli sono spuntati come funghi negozi biologici e di abiti vintage, è aumentato l’acquisto di biciclette (nonostante le piste ciclabili disegnate) e sono nati locali dall’aria confidenziale e domestica. Come il Babar e Capalice in zona Chiaia oppure l’Archivio storico al Vomero. Ma è in provincia, dove gli echi delle mode sono più ascoltati, che si muovono i veri Hipsters. Dal venerdì alla domenica sera, eccoli sfilare sul lungomare o sostare davanti ai bar di Chiaia.
L’Hipster alla napoletana, come i suoi simili sparsi nel mondo, non si separa mai dai suoi pantaloni attillati: le donne indossano quelli super slim, stretti fino al polpaccio e gli uomini si infilano a fatica in modelli femminili. Ai piedi entrambi portano scarpe Dr. Martens oppure per le ragazze scarpe chunky (col tacco grosso, anni ‘70) o le ballerine, e per i ragazzi vecchie sneakers tipo All Star, Toms, o Reebok modello basket. Poi borse da postino, t-shirt con frasi che ricordano rock band degli anni ‘70’ e ’80, in stile vintage ma dal taglio attillato, e camicie a quadri di flanella, del tipo grunge anni ’90, ma sempre aderenti, oppure cardigan e giacche che sembrano cuciti addosso. Per gli uomini completano il look vistosi occhiali da vista (anche se si hanno 10 diottrie), una Kefiah volutamente priva di significato politico, sfoggiata nei colori dal viola al rosa o fantasia, e un paio di baffi dal taglio sottile, corto e poco folto. Per le donne capelli spettinati e cappello nero.
Come nelle altre città italiane, anche a Napoli l’Hipsterism è arrivato privo di forza creativa. Ha trovato terreno fertile in quell’atarassia posillipina un tempo rifugio di filosofi e pensatori ed ora scudo contro le tante illusioni di rinascita naufragate nel mare di vuoti proclami. Ma privato delle sue radici è diventato più un fenomeno di moda che di pensiero. Durante il suo lungo giro nel mondo, quella che era nata come espressione della creatività giovanile è caduta preda dei suoi peggior nemici, ovvero l’uniformità e il convenzionalismo.
Ed ora guardatevi attorno: quanto Hipsterism c’è intorno a voi? E nel vostro guardaroba? E quanto, sotto sotto, vi sentite Hipster anche voi?
L'evoluzione della specie secondo il web