Un giudizio troppo severo
Esame di Stato, il ricorso di un aspirante avvocato
di Adelaide Caravaglios
Per molti dottori in giurisprudenza si avvicina la fatidica data dell’esame per l’abilitazione all’esercizio della professione forense, la quale si tiene, generalmente, la seconda decina del mese di dicembre: questi che restano sono, quindi, giorni di studio intenso, fatto di ripetizioni, aggiornamento sulle ultimissime novità giurisprudenziali, memorizzazione dei principali concetti di diritto sostanziale e, soprattutto, risoluzione di casi pratici attraverso la stesura di pareri di diritto civile, penale ed amministrativo.
Insomma: tanta fatica che, spesse volte, purtroppo, non viene riconosciuta adeguatamente: non è raro infatti sentire di praticanti avvocati che non ce l’hanno fatta per la terza, la quarta volta… immaginiamo la delusione di quel futuro libero professionista che − avendo proposto ricorso contro la valutazione della Commissione esaminatrice del concorso per l’abilitazione all’esercizio di avvocato del 2017, lamentando “l’irragionevole ristrettezza dei tempi di correzione degli elaborati” e la “manifesta illogicità e irragionevolezza della votazione attribuita alle tre prove” − si è visto non soltanto respingere l’istanza e condannare al pagamento delle spese di giudizio, ma addirittura abbassare il voto attribuito alle prove svolte.
Per i giudici della III sezione del TAR Lombardia (ordinanza 1231/2018) non poteva aver rilievo, tra le altre censure, “l’assenza di segni di correzione”, dal momento che “al contrario, solo se la commissione ritenga di apporre sottolineature o segni può ammettersi la valutazione della loro coerenza con affermazioni, concetti e principi espressi nell’elaborato”: un giudizio, forse, fin troppo severo!