La mia via Roma

    di Amedeo Forastiere

Torno a Napoli dopo un lungo periodo lontano. Un amico, Cristoforo, mi chiama dicendomi: Ci vediamo domani alle diciotto vicino la stazione della metro, in via Toledo? Rispondo subito: Ok! Chiuso il telefonino, un dubbio: Dov’è via Toledo? Sì, perché dovete sapere che per quelli della mia generazione via Toledo è stata sempre via Roma, e ancora oggi viene spontaneo chiamarla così. Prendo la metro a piazza Garibaldi, in pochi minuti arrivo alla fermata di via Toledo. Bella, sì effettivamente bella, un grande lavoro d'artista del Desainer. Non a caso è stata eletta la più bella stazione metropolitana d’Europa. Mentre salgo, o per meglio dire emergo dalla tana della talpa, ho la sensazione di riaffiorare da un fondale marino. Ho fatto immersione subacquea per molti anni e, credetemi, quella è stata la sensazione che ho avuto. In alto un lucernaio riflette la luce del sole su pareti di piastrelle mosaicate, verde acqua marina.

Vivo questo spettacolo come se non mi trovassi nella mia città. Dopo l’ultima rampa di scale sono in strada. Mi guardo intorno, non trovo il mio amico Cristoforo; ma non trovo nemmeno me… Strano, ma è così. Giro su me stesso come una trottola lenta, quando comincia a perdere la forza centrifuga e poi cade. Se avessi preso un treno alta velocità e non la metro, avrei detto: Mi sono addormentato, il treno mi ha portato in un’altra città, al Nord, sono… a Milano! Cerco qualcosa, mentre aspetto il mio amico che forse si sarà perso dietro qualche amore. Cerco la vecchia via Roma, la mia Napoli. Tanta gente per la strada, ma non è frenetica, dunque non sono a Milano, in via Monte Napoleone. Drizzo le orecchie per sentire che lingua parlano tutti: è la mia, il napoletano.

Sono a Napoli? Non riesco a darmi la conferma! Sono a Napoli, questa è la mia via Roma? E allora dov’è o’traffico?

La mia via Roma è stata sempre una strada trafficata… E chi se lo dimentica. Mentre aspetto Cristoforo, mi viene in mente quando mia moglie mi chiedeva di accompagnarla qui per lo shopping… Quasi mi saliva la febbre. Le auto di qualche anno fa non avevano il climatizzatore, e nelle calde giornate di sole napoletano l’auto diventava un forno, quand’ero da solo spesso veniva qualche santo a…farmi compagnia!

Un passo indietro nella storia: quando e come nacque la mia via Roma. Il viceré Don Pedro Alvarez de Toledo, nel 1536, durante il dominio spagnolo, fece un piano regolatore che comprendeva l’edificazione di un intero quartiere di case per accogliere i suoi soldati: i quartieri spagnoli e la strada che collegava. La strada fu chiamata, per onorare il viceré e la Spagna, via Toledo. Per i napoletani: Tuleto. Il nome spagnolo rimase fino al 1870, quando, dopo l’Unità d’Italia, per rispetto alla neo nata capitale, fu cambiato in via Roma. 

Ma, come dicevo, nel cuore dei napoletani è sempre via Tuleto. Molti poeti nelle loro canzoni citarono la strada dal nome spagnolo. Libero Bovio nel 1917 nella sua "Reginella" cantava: Fuje ll’autriere ca t’aggio ‘ncuntrata fuje ll’autriere a Tuleto ‘gnorsì. Anche il più recente Renato Carosone (recente si fa per dire, quest’anno ne compie sessanta), nel 1957, nella sua canzone famosa in tutto il mondo "Tu vuo’ fa l’americano" cantava: Passa scampanianno pe’ Tuleto comm’a nu guappo pe’ te fa’ guardà.

È la strada che non trova pace: via Toledo, via Roma, poi ancora via Toledo dal 1980, come volle l’allora sindaco Maurizio Valenzi. Prima ancora che fosse realizzata la strada, faceva da padrone in tutta la zona il fiume Sebeto che i napoletani chiamavano o’ sciummetiello. Fu sepolto o deviato con il piano regolatore voluto dal viceré Don Pedro Alvarez de Toledo. I napoletani persero così o’ sciummetiello, ma trovarono una nuova strada: via Toledo.

Il fiume Sebeto, in greco Sepeithos, dovrebbe significare "andar con impeto" (ironia della sorte la strada che nacque dal fiume è stata sempre impetuosa). Nasceva dal monte Somma e per una seria di percorsi tortuosi e strani arrivava fino a Napoli. C’è un racconto particolare e molto affascinante che risale ai tempi di Virgilio, il più antico portavoce, contenuto nel settimo libro dell’Eneide, in cui, dal verso 733 al 736, si parla di una storia d’amore tra il fiume Sebeto e la sirena Partenope. Si dice che dalla loro relazione nacque addirittura un figlio, Sebetide.

Mentre cerco il mio amico Cristoforo, sparito in questa Napoli sconosciuta, non riesco a non pensare questa leggenda. Mi domando: Un fiume che s’innamora di una sirena, un figlio che nasce da quest’amore… Ma che si fumavano ai quei tempi?  

Alla prossima ragazzi.





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