D'Annunzio, un poeta al comando

Sellerio riedita il romanzo storico di Alessandro Barbero sul vita impetuosa del Vate

    di Armando De Sio

"Poeta al comando" è un libro di Alessandro Barbero, scritto nel 2003 ed edito per la prima volta da Einaudi. A quasi vent’anni dalla prima uscita il volume è stato riedito dalla Sellerio editore di Palermo. Tra i tantissimi episodi della “vita inimitabile” di Gabriele D’Annunzio, la cosiddetta “esperienza fiumana”, cioè il governo della città di Fiume (oggi la città di Rijeka, in Croazia), fu una delle più singolari. Presa la città con novemila “legionari”, D’Annunzio la tenne per più di un anno, dal 12 settembre del 1919 al 31 dicembre del 1920, quando dovette abbandonare la città a seguito del trattato di Rapallo che il primo ministro italiano, Giolitti firmò con la Jugoslavia.

Il romanzo prende proprio le mosse dagli ultimi giorni dell’occupazione di Fiume da parte di D’Annunzio, che da ora in poi verrà chiamato il Comandante. Incapace di restare inattivo, D’Annunzio, senza che ne prevedesse i futuri sviluppi, curò tutta una serie di rituali di cui poi si sarebbe appropriato il fascismo, ma scrisse anche una costituzione assai libertaria, la cosiddetta Carta del Carnaro, facendosi addirittura portavoce degli operai, dei contadini, dei portuali, insomma delle classi meno abbienti della città croata. Colto nel romanzo nell’ultima parte dell’impresa, ormai in evidente declino, prima ancora che gli occupanti dovessero smobilitare, troviamo D’Annunzio nella sua tipicità di essere tutto e il contrario di tutto, con l’aggiunta però tutt’altro che irrilevante della malinconica consapevolezza che gli anni sono trascorsi e che quindi è già entrato nell’incerto e gramo periodo della vecchiaia.

A Fiume si vive alla giornata in una sorta di continua baldoria in cui utopie, desiderio di ebbrezza e anche libero amore sembrano un anticipo di Woodstock 1969. Il mito del Comandante ha finito per travolgere il personaggio D’Annunzio e quest’ultimo comincia a capire e a rendersi conto che la vita non è eterna. Quest’uggia, questa malinconia lo trasforma, lo fa diventare più umano, così da scendere dal piedistallo su cui si era posto.

L’idea del professor Barbero è davvero geniale e porta a una lettura assai gradevole, tanto più che chi narra non è D’Annunzio, ma il suo segretario Tom Antogini, che nel 1944, in un bar di Salò ritrova dopo molto tempo e nelle vesti di ufficiale delle ausiliarie della RSI Cecilia, una ragazza più brutta che bella e che tuttavia a Fiume riuscì a irretire il poeta, divenuto da cacciatore di donne a preda. Fra l’altro, il fascino di Cecilia, che viene soprannominata dal poeta stesso Cosetta, è tale che doveva aver fatto breccia anche nel cuore dell’Antogini, tanto che a distanza di più di venti anni quella brace si ravviva e così ottiene quell’ amplesso che non gli era riuscito nei giorni dell’occupazione di Fiume. Barbero ha la capacità di farci immergere in un mondo lontano anche se non troppo e di farci capire che “scrivere un romanzo storico vuol dire ridare voce al passato, ma anche esplorare le radici del presente”.





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