Momo, il dio della derisione

Nuova puntata della rubrica «La persistenza del mito», dedicata al figlio della notte

    di Sveva Della Volpe Mirabelli

Piccolo, calvo, senza vestiti. Regge una maschera, probabilmente appena tolta, e un bastone, spesso associato allo scettro di fantasia del buffone di corte. Figlio della Notte (Nyx) che lo concepì da sola, secondo altre versioni con Erebo o con il Sonno (Hypnos). Una genia tenebrosa che lascia ben intuire le qualità scure della sua indole dissacratoria. È la personificazione del biasimo, del sarcasmo, dio della beffa e della derisione. Le sue provocazioni sono tuttavia giustificate da un’inderogabile attitudine alla verità, una verità impellente che la sua bocca a fatica trattiene. Carattere testimoniato dall’iconografia che tradizionalmente lo vuole nudo e smascherato. Il parresiasta non sa adulare, noncurante di qualsiasi forma di persuasione, non nasconde né tace, accettando di volta in volta il pericolo che ne deriva. Capita così che venga scelto come consigliere o giudice nelle dispute tra gli dei. Quando Zeus, preoccupato, è intenzionato a ridurre il numero crescente di uomini sulla terra, distruggendo l’umanità con fulmini e inondazioni, Momo suggerisce il matrimonio tra Teti e Peleo e di generare la seducente Elena, la cui bellezza sarà all’origine della Guerra di Troia.
Un altro episodio che lo vede protagonista è quello in cui viene chiamato a eleggere la migliore opera tra il toro presentato da Zeus, l’uomo creato da Prometeo e la casa fabbricata da Atena. Momo le critica tutte, poiché ognuna difettosa: il toro non ha gli occhi posti sulle corna, rendendo più difficile mirare al bersaglio; l’uomo non ha la mente collocata all’esterno, con la conseguenza che non è possibile leggere i suoi pensieri e mettersi al riparo dai malvagi; la casa, mancando di ruote, impedirebbe il trasferimento qualora un vicino si dimostrasse molesto.
Persino Afrodite è sfiorata dalla sua mordacità: non trovando alcuna imperfezione nella Cipride, l’irridente sostiene che i suoi sandali scricchiolino.
Stanchi i numi di riprovazioni e scherni finiscono col cacciarlo dall’Olimpo. Il dàimon trova però un nuovo posto, è accanto all’unico dio in grado di comprenderlo: Dioniso.
L’ironia di questa controversa figura è capace di indicare la giusta misura, ma, per realizzarsi senza rischi, deve anche essere misurata, a meno che non si stabilisca laddove l’ordine del discorso ha confini mobili.





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