Re Lear, ingiustizia e amore
Al Mercadante, fino al 1 maggio, lo spettacolo diretto da Dipasquale con Rigillo
di Maria Regina De Luca
Al Mercadante di Napoli trionfa la tragedia umana di Shakespeare. Non è facile, in una rappresentazione teatrale che supera le tre ore, che l’attenzione e la curiosità dello spettatore restino fino all’ultimo in vigile sintonia di sensi con quanto avviene sulla scena. Eppure al teatro Mercadante di Napoli, dove l’immensa tragedia di Shakespeare ha trionfato per più serate, l’attenta partecipazione della sala è andata levitando via via che il vecchio e dolente Re dispiegava con le sue richieste d’amore, le sue ingiuste giustizie, i suoi pentimenti e le sue delusioni l’eterna lezione della vita.
Spietata allegoria della sorte umana, Re Lear non è solo l’elucubrazione letteraria e poetica di un sommo drammaturgo che ha scritto le sue attualissime opere quattro secoli fa, ma è il rinnovarsi di un miracolo che, affondando la sua analisi nell’essenza più intima del cuore umano, rende attuale il tempo di ieri, un tempo che ha visto spostarsi la terra dal centro dell’universo e vagare il spazi dove il suo carico umano non ha certezze, né speranze di approdi. Nel vecchio Re sembra addensarsi il bisogno d’amore e d’espiazione talmente forte da divenire cieco e decidere, da cieco, della sorte di tutti gli altri personaggi. Disposto a donare il suo regno, Lear pretende in cambio l’amore senza saper distinguere quello autentico, segreto e pudico di Cordelia da quello bugiardo di Regal e Goneril, le due sorelle che sembrano uscite da un sabba alla Macbeth.
L’unico personaggio che riesce a sbrogliare i tanti intricati e intriganti nodi è il Matto, al quale è consentito dire pane al pane allo stesso Re senza rischiare la vita. "Mostra men di quel che hai, parla men di quel che sai, presta men che in serbo avrai. Più a caval che a piedi andrai, credi poco, impara assai, punta men che vincerai". Il Matto distribuisce la sua saggezza in piccole e chiare strofette che il re ascolta, consentendo anche audacie più spinte al suo giullare: "…delle tue figliole hai fatto le tue madri! Perché quando hai dato loro in mano la verga, e ti sei calato le braghe, dalla gioia esse versarono di lacrime un lago…"
Nella essenziale scenografia coerente con testo e personaggi, nei bei costumi e nelle luci sapientemente dosate, le ore della rappresentazione sono scorse in un crescendo d’interesse, sia per la materia sempre più avvincente sia per la recitazione tesa, vibrante, accortamente in salita per tessere quell’arco emozionale tra palcoscenico e platea che decreta il successo. La regia di Giuseppe Dipasquale, ha ben dosato gli ingredienti che, in un’opera come questa, rischiano di esser o troppo grevi o troppo volutamente in sottotono. Quanto all’interpretazione, Mariano Rigillo mescola sapientemente, da suo pari, nel personaggio arroganza e umiltà, bisogno e capacità l’amore. Il giullare è parte integrante della sua vita e della sua persona. Per comunicargli un po’ della sua forza e della sua folle saggezza sembra a volte compenetrarsi nel Re per farsi ascoltare, per metterlo al sicuro da sé stesso e dal male che lo circonda.
L’interpretazione di Anna Teresa Rossini non ha bisogno di aggettivi: la bella e bravissima attrice veste alla grande i panni del personaggio e contemporaneamente lo irride e lo tiene a bada, ne segue gli slanci con una fisicità appassionata, ne dice le parole senza voler che esse abbiano alcun altro senso che quello di proteggere col loro cantilenante humour l’essere che ama al di sopra di sé stesso: il Re ferito, tradito, incapace di leggere in sé e negli altri le verità e le menzogne. Parabola della vita amaramente attuale, la tragedia porta in chiusura il suo sigillo di eternità: "Non dobbiamo rassegnarci al peso di questi tristi tempi e dire quello che sentiamo, non quello che dovremmo. Il più vecchio è quegli che ha sopportato di più; noi, che siamo giovani, non vedremo tanto né tanto a lungo vivremo".