Residenze per teste coronate

Da Roma a Napoli, tour tra Quirinale e palazzo reale partenopeo

    di Maria Regina De Luca

La più eclettica, che di teste coronate ne ha ospitate diverse e con diverse corone, è il Quirinale. Le allegorie imperiali si sprecano, dal colle dedicato al dio Quirino ossia a Romolo, e ai Dioscuri Càstore e Pollùce, figli di Zeus. Non poteva sceglier meglio Gregorio XIII quando, nel 1583, decise di chiamare i migliori architetti del tempo ad ideare una dimora più salubre per l’alto clero romano.

Fu con l’unità d’Italia che il Quirinale vide i suoi ospiti, i Papi, cedere il posto ai re Savoia ognuno dei quali volle dare la sua impronta all’edificio, non diversamente da quanto fece la terza categoria di inquilini del Quirinale, i Presidenti della nascente Repubblica. Compreso tra i sette palazzi più grandi del mondo, venti volte  più grande della Casa Bianca completa di annessi, il Quirinale è misura e termometro dei suoi ospiti democratici-repubblicani alcuni dei quali: De Nicola ed Enaudi, non vi abitarono mai, altri lo usarono come ufficio, la maggioranza come residenza familiare anche in mancanza di famiglia, dilatando nell’immensità del luogo la propria voglia di eternità dinastica col supporto del popolo non proprio festante.

Anche Napoli ha il suo palazzo reale, una delle quattro residenze borboniche insieme a Capodimonte e alle squisite regge suburbane di Portici e di Caserta. A confronto col Quirinale, la reggia napoletana è, nella sua prima versione, quasi una splendida e raffinatissima dimora per famiglia alto borghese-aristocratica che dedica molto spazio alle arti, al teatro, alla musica e alla cultura, Eretto dal vicerè conte de Lemos, in sostituzione e sullo stesso luogo di quello voluto da Don Pedro de Toledo, ha ospitato vicerè spagnoli, occupanti austriaci, sovrani Borbone e Gioacchino Murat, forse il sovano più innamorato di Napoli che sognò un’unità che partisse dal suo regno.

In molte delle sue sale si emblematizzano eventi e storia del regno, dalla prima sala, il Teatrino di Corte alla trentesima, la Cappella reale del Fanzago. Un’ala è occupata dalla Biblioteca Nazionale. Sulla facciata prospiciente piazza Plebiscito Umberto II volle magnanimamente sciorinare i capostipiti delle diverse dominazioni, dal Normanno a Vittorio Emanuele II. Allo scultore sfuggì che Carlo III era il titolo del re spagnolo, mentre Carlo VII di Borbone era quello del re di Napoli assurto nel 1734 agli onori del trono, dalla cui epigrafe manca anche la provenienza dinastica. Forma corpo unico col palazzo reale e con la Biblioteca il San Carlo, del quale parleremo.

Da mesi l’edificio regale, affacciato su una delle piazze più belle d’Italia percorsa dal vento del mare che giunge da sinistra, si confronta malinconicamente con l’offuscato e mortificato splendore neoclassico della Basilica di San Francesco di Paola, i cui portici sembrano confermare l’antico detto napoletano di esser ultimo rifugio per poveri e derelitti. La reggia soffre inoltre di una malattia estremamente contagiosa, che sta rapidamente divenendo endemica e che ne esige l’incerottamento a tempo indeterminato, di ogni parte del corpo. Un buchino d’accesso, perchè esali un respiro che si spera non sia l’ultimo, è all’ingresso sulla piazza, abbastanza nascosto da non attirare visitatori. I cittadini accettano, nel loro eterno silenzio-assenso. Non è facile capire se tale atteggiamento è dovuto a motivi antropologici, a stasi di reattività o, semplicemente, a disamore e alla incapacità dei napoletani di riconoscersi nella loro storia, tollerando però benignamente quanti, da oltre vent’anni, usano dei loro poteri per estirpare alla città memorie e radici e rubarne il futuro.

 Il quesito è aperto, anche ai forestieri, soprattutto se spagnoli.





Back to Top