Sognare, quell'infinito che fa bene al cuore

Canzoni, amori e ricordi: l'importanza dell'attività onirica

    di Amedeo Forastiere

Carl Jung e Sigmund Freud furono dei pionieri nel campo dell’interpretazione dei sogni. Migliaia di libri sull’analisi dei sogni, dai più divulgativi dizionari alle tesi di dottorato. In effetti, il desiderio di comprendere i sogni è quasi universale. Molti gruppi indigeni si affidano a queste visioni. Gli antichi greci, elessero Morfeo dio del sogno e no del sonno come molti confondono,  che fu affidato al padre, Ipno o Ipnos. “Penso che un sogno così non ritorni mai più. Mi dipingevo le mani e la faccia di blu poi d’improvviso venivo dal vento rapito”: sicuramente la più popolare canzone, cantata da quel genio di Modugno, è il racconto di un sogno strano, misterioso, ma con tanto fascino. Sono tanti gli artisti che nei loro versi hanno cantato del sogno, quasi sempre canzoni d’amore. Era il 1595 quando William Shakespeare dedicò al sogno, una delle sue più belle opere: Sogno di una notte di mezza estate. Una commedia immersa in un’atmosfera fantastica e affascinante, capace di suscitare emozioni e meraviglia. Tutto ruota attorno a due principali tematiche, sogno e magia, altro non è che l’amore che risolve tutto. L’atmosfera sognante ed eterea. In parole semplici, senza essere blasfeme verso l’autore, la metafora del sogno a occhi aperti.

Dopo questo spaccato, di altissima arte teatrale, mi viene incontro un ricordo di un personaggio che abitava nel mio palazzo: don Peppino (‘o scarparo). Lavorava in una piccolissima fabbrica di scarpe alla Sanità. Sei figli, in una casa con l’icona della miseria tatuata. Tutte le domeniche, don Peppino  indossava il suo unico vestito, doppio petto blu scuro a righe di gesso. Alto, snello, passo lento austero e nobile. Usciva per la passeggiata sotto braccio, non con la moglie, vecchia e malandata, ma con la figlia ventenne, Annamaria, bella ragazza, fortemente somigliante al padre, stessa postura elegante. Chi non li conosceva li scambiava per marito e moglie, ricchi e eleganti. Don Peppino la domenica viveva il suo sogno a occhi aperti.

Sognare fa bene? Il sogno, questo mondo strano, misterioso, affascinante, sconosciuto, di certo c’è che è sempre soggettivo. Noi napoletani siamo sempre stati più immediati, non amiamo tanto affidare i nostri sogni a dizionari o libri freudiani. Per capire il nostro sogno che cosa è venuto a dirci, ci rivolgiamo a qualche esperta. Anni fa ho conosciuto una giovane donna, che interpretava i sogni. Leggo il tuo sogno, diceva. Non era la solita vecchia fattucchiera, chiromante, che puzza di fritto, aglio e cipolla, legge le carte, o vede quello che accadrà nelle gocce d’olio che si allargano nell’acqua,  o nel fondo della tazza del caffè. Niente di tutto questo. Era una bella donna giovane bionda, sempre truccata e pettinata, spesso in minigonna. Ottima ballerina di Rock and roll mi confidò. In poche parole non aveva niente in comune con la vecchia strega. Aveva la mia stessa età, vi confesso che mi innamorai, ma lei era sposata, tre figli, e super fedelissima. Si chiamava Rosaria. Quando le raccontavo il sogno che mi ero fatto la notte precedente, mi guardava fissa negli occhi per qualche secondo, imbarazzato abbassavo lo sguardo perché la sentivo entrare dentro di me, diceva: Non ti muovere, non chiudere gli occhi, devo leggere. Ed era così, perché il sogno rimane scritto negli occhi.

Molto scettico, confesso, ma lo vivevo come un gioco, ed era anche la scusa per perdermi nei suoi occhi. Rosaria aveva un modo di fare speciale. Innanzitutto non prendeva soldi: la sua capacità interpretativa dei sogni era una passione. Non era invadente, non faceva domande. Io le raccontavo il sogno, lei mi guardava fisso negli occhi, poi cominciava con la sua lettura. In questo momento non so dirvi se fosse suggestione, ma spesso credevo a tutto quello che leggeva nei miei sogni. In quell’istante non mi domandavo se potesse realmente accadere, mi abbandonavo al fascino del mistero che mi trasmetteva. Spesso, però, quello che leggeva accadeva veramente, coincidenza? Ma!

Se il sogno è stato brutto, gli incubi che ci hanno fatto sobbalzare nel pieno della notte, la mattina dopo ci si sveglia nervosi ogni cosa è dà fastidio, anche il gatto quando si strofina vicino le gambe e aspetta una carezza. I sogni belli li riordiniamo, conservandoli stretti dentro di noi. Li tiriamo fuori nei momenti tristi, quelli un po’ così, quando ci abbandoniamo con lo sguardo nel vuoto cercando da qualche parte il nostro bel sogno. In particolare ci piace ricordare quello fatto con il nostro amore, quando dopo aver abbondantemente esagerato con le performance del dio Eros, stanchi ma felici, ci siamo abbandonati nelle braccia di Morfeo. Una mia amica, che simpaticamente chiamo Cenerentola, per la sua capacità di trasformarsi da professoressa di italiano e lingue straniere a comunissima massaia, come quelle di una volta, grembiule e strofinaccio, foulard su capelli e ciabatte.  Le ho domandato: “Cosa ne pensi dei sogni, di quelli notturni, i più comuni, e quelli da sveglio, a occhi aperti, quali preferisci?” Mi ha risposto cosi. “I sogni di notte a volte sono incubi, il nostro subconscio. Quelli di giorno sono i nostri desideri”. Come si può dare torto alla prof. Cenerentola?





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