Napoletana la prima donna barbuta

Non si tratta di Conchita Wurst, ma della Maddalena di De Ribera

    di Aldo de Francesco

Sere addietro “l’Eurovision Song Contest” di Copenaghen, tradizionale e agguerrito “cimento” musicale, in cui vi è stata anche una “performance” di dubbia versione “sexy rock” dell’italica Emma Marrone, ha visto come indiscussa mattatrice Conchita Wurst, venticinquenne, incontenibile, scandalosa e avvenente “drag queen” austriaca.

Volto di uomo con barba nero fumo curatissima, capelli fluenti, sorriso scintillante, look di vamp da gran sera, insomma una splendida ermafrodita, da “trans” non ancora però “transitata” per Casablanca, ha fatto il botto. Non solo per il piacevole e trionfale brano da lei interpretato “Rise Like a Phonic, ma soprattutto per il “fascino choc”, trasgressivo, da fatale star. Ogni sua esibizione, come si sa, sempre al centro di polemiche, anche stavolta ha ricalcato lo stesso copione: elogi sperticati provenienti dalla nativa patria absburgica e puntuali, insultanti giudizi da parte della irriducibile censura russa, di uno su tutti, del vicepremier Dmitrij Rogozin, il quale ha detto, pensando alla smacco subito in Ucraina: “Il risultato di Eurovisione ha mostrato ai sostenitori dell’integrazione europea il loro futuro… una donna barbuta”.

Polemiche a parte, se Conchita pensa di aver conquistato una originale primogenitura con il “look” di Copenaghen- travestita da donna barbuta - si sbaglia. Questo primato, non taroccato ma autentico e documentato da una grande firma della pittura di tutti i tempi, spetta a Napoli. Carta canta. Qui agli inizi del 1600, ai tempi del vicerè Don Francesco de Castro, visse realmente “una donna barbuta”: si chiamava Maddalena Ventura, proveniente dal contado degli Abruzzi, fu sposa e madre di nove figli, l’ultimo dei quali avuto a 52 anni, naturalmente, senza cure ormonali o ricorsi alla banca del seme.

Sebbene allora i princìpi della tecnica fotografica fossero già noti a Leonardo da Vinci, che ne trattò nel Codice Atlantico - ma bisognava aspettare ancora due secoli e passa per vederli tradotti in concreti risultati - a immortalare questo singolare “caso clinico” provvide intorno al 1630 il pittore maledetto, Josepe de Ribera, detto lo “spagnoletto” su commissione del vicerè del tempo don Ferdinando Afan, terzo duca di Alcalà. Maddalena, raffigurata, come ne riferisce Giuseppe De Vito, in un interno di famiglia, di influsso caravaggesco, vi appare così com’era, con una barba lunga e nerissima, sul tipo di quelle di Michelangelo o Galileo, mentre “allatta” il figlioletto, seguita da vicino dallo sguardo del marito, secondo alcuni critici, preoccupato ed enigmatico. Ma che, in realtà, non dovette poi essere proprio tale, dal momento che egli, con la prolifica e barbuta moglie, contribuì già da allora, all’incremento demografico del Sud, a farne la “conigliera” d’Italia.

Tornando al dipinto della Fondazione dei Duchi di Lerma a Toledo: “Questa illustrazione rigorosa di un episodio di cronaca vera- scriveva Nicola Spinosa su Ribera e sul Secolo delle passioni barocche nel supplemento a “Il Mattino” del 22 dicembre del 1984 - non esclude ma anzi esalta, per via del mezzo pittorico, l’attenzione profondamente umana del pittore per la sofferta e desolante condizione umana dei personaggi raffigurati”. In un mondo, per intenderci, ricorda La Capria, prendendo a modello “Lo Cunto de li Cunti” del Basile- che è quello che è in tutta la sua bruta realtà, in cui le cose sono quelle che sono e non c’è timidezza né eufemismo nel descriverle. Non si arretra di fronte a nulla, né di fronte alla crudeltà, né di fronte al sesso, né di fronte a tutte le miserie e il luridume che affliggono l’umanità”.

(Nelle foto: la star Conchita Wurst e Maddalena Ventura, la donna barbuta, nel dipinto del De Ribera, attualmente della fondazione dei Duchi di Lerma a Toledo in Spagna.)





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