Il Senato dei mister
Figuraccia Costarica, Prandelli da eroe a reietto
di Max De Francesco
Costretto in queste ore a smarcarsi dal pressing grillino e a palleggiare col vecchio bomber di Arcore, Renzi può trovare, nel campo delle riforme, la soluzione perfetta per riaprire, in un Paese disincantato e in“tasi”nato come il nostro, lo scrigno delle idee. Vogliamo rilanciare l’Italia? Ridarle “governance” e gambe? Al premier viola consigliamo, tra una slide e un selfie, di prendere sul serio l’ipotesi di puntare su un Senato non di sindaci o paludati consiglieri regionali, ma di allenatori, regolarmente eletti dal popolo pallonaro attraverso la rete e i dominanti sistemi interattivi che impazzano in tv. Che ne pensate del modulo studiato da Zazzaroni per fermare l’Uruguay? Siete d’accordo con lo schema d’attacco accennato a notte fonda da Tardelli? Ha ragione Mauro quando dice che se hai le punte le devi far giocare? Pigiamo il telecomando, un tocco sulla tastiera e alé alé il Senato è cosa fatta. Meno palle e più pallone, urne allo stadio, possibilità di mettere in fuorigioco l’astensionismo: la maggioranza degli elettori tornerebbe a occuparsi di politica in curva e in tribuna e, perché no, parteciperebbe alla scelta, decisiva per il sistema Paese, del commissario tecnico della Nazionale.
Dopo la partita con l’Inghilterra, Prandelli, classe ’57, zero tituli, occhi caffeinati e chioma alla Malaparte, appariva come il demiurgo di un “tiki-taka” all’italiana, possesso palla di qualità estrema, governato dall’inventiva mostruosa di professor Pirlo. Il commissario avrebbe meritato, per filosofia di gioco, un posto nel futuribile Senato del pallone. Politica e calcio pari sono: se nel momento cruciale del voto e della partita si fa cilecca, tutto s’azzera, tutto è incompiuto. La pratica Costarica si presentava rognosa ma abbordabile. Non c’è stato un solo opinionista che abbia messo in discussione, prima della seconda partita del girone, tenuta atletica ed energie degli azzurri, apparsi contro Rooney e Gerrard brillanti e tonici, più forti del caldo e dell’umidità. Fino alle ore tredici di ieri. Fino al match nell’occhio torrido dell’Arena Pernambuco a Racine. Prima che mister Jorge Luis Pinto asfaltasse Prandelli e danzasse dinanzi alla panchina come Oronzo Canà. Certo, l’orario si prestava alla cottura: 90 minuti in apnea, timeout fuorilegge, due gol divorati dallo scollegato Balo-twitter, centrocampisti, esclusi Pirlo e Marchisio, non pervenuti, Abate e Thiago Motta da arresto immediato, Buffon e Chiellini annebbiati, gambe italiote fritte dopo meno di mezzora mentre quelle dei ticos mulinavano favole. Del secondo tempo meglio non parlarne: tre cambi ininfluenti - Cassano irritante nel suo andamento spento, Insigne ammuinatore, Cerci murato - lucidità sottozero e figuraccia completata senza un tiro in porta e una giocata da rigenerare imprese.
Come da copione, il tonfo di Prandelli ha risvegliato l’Italia dei mister e dei Robespierre del corner, i quali, forse ragionando già da papabili senatori di una Terza Repubblica fondata sul rettangolo verde e il touchscreen, hanno giocato all’impallinamento del commissario tecnico con un’inaspettata goduria. E come capita in politica quando alla porta di un leader bussa la batosta, non si sa più quale sia oggi il team (il Paese) reale: quello che gioca e convince contro gli inglesi, resistendo alla crisi e puntando ancora su intelligenza e fantasia, o quello umiliato dai cenerentoli Campbell e Ruiz, affannato e vuoto, incapace di rialzarsi e riorganizzare una ripresa vincente. Per il team ideale, invece, nessun problema: presto verrà schierato dal mister scelto dal Senato degli allenatori, prossima riforma dell’arbitro Renzi e della madrina Boschi. Nell’attesa che una vittoria (o una sconfitta) riporti un po’ di verità in casa azzurra, mister Prandelli è già un reietto. I futuri senatori fanno sapere che se contro l’Uruguay terrà in panchina Immobile, sarà considerato anche un coglione.