Il giorno della candelora

Le origini della festa dei femminielli

    di Rosamaria Lentini

L’abbazia di Montevergine, situata sul massiccio montuoso del Partenio, è il più noto santuario mariano della Campania.

Un’interessante leggenda arricchisce questo luogo di un alone di misteriosità: nell’anno 1256 due giovani omosessuali, scoperti ad amarsi, vennero prima cacciati dalla comunità e poi denudati e legati ad un albero sul monte Partenio con l’obiettivo che fossero sbranati dai lupi o morissero per la fame e per il freddo; ma la Vergine, commossa dall’intensità del loro amore, li liberò dalle catene consentendo ai due innamorati di poter vivere la loro storia d’amore alla luce del sole.

La leggenda, che probabilmente ha qualche tratto di concretezza storica, è tuttora viva e costituisce un prezioso antefatto ad uno degli aspetti, forse il principale, della festa che annualmente si celebra a Montevergine.

È intorno a questa Madonna Nera, la Mamma Schiavona, che il 2 febbraio, il giorno della Candelora si riuniscono i femmenielli giunti da vari posti della Campania, ma soprattutto dai quartieri spagnoli.

Arrivano in tanti, e non sono soli, perché con loro c’è una moltitudine di persone: abitanti dei vicoli, donne, bambini, contadini della zona, fedeli e turisti, ma, nonostante la folla di così varia provenienza, loro, i femmenielli, rimangono i grandi protagonisti della giornata.

Un tempo arrivavano con un carro trainato dai cavalli e addobbato di fiori colorati e nastri, oggi ci sono le macchine e i pullman, ma loro sono rimasti gli stessi: vestiti con colori sgargianti, vestiti di nero, ammantati in splendide pellicce, vestiti o travestiti, addirittura vestiti da sposa, sono loro, un’umanità che canta e balla al suono di tipici strumenti partenopei. Tra tutti questi trionfa la tammorra, e la tammorriata segna il momento dell’apoteosi di questa indescrivibile festa. Al suono di questo millenario tamburo le danze e i canti si fanno frenetici, fino a quando all’improvviso si alza la potentissima voce di Marcello Colasurdo. Sono quasi quaranta anni che Colasurdo per la Candelora compie il pellegrinaggio che di lui ha fatto un re, il Re, ed è infatti con fermezza da re che, in piedi sul sagrato, grida: “Mamma Schiavona, Mamma Schiavona, noi venimmo a te ca devozione” e a ricordo dell’ostruzionismo operato dalla Chiesa, continua “‘na messa ‘a fanno lloro e ‘na cantata ‘a facimme nuie: Mamma Schiavona ‘o ssape ca fede è ‘a stessa.”

Ma chi sono i femminielli? E cosa festeggiano nel giorno della Candelora?

Così Della Ragione descrive l’evento: “Sdraiato sul lettino e assistito dalle parenti, il femminiello vive le ore del travaglio ed il momento del parto. Alcuni soggetti s’immedesimano a tal punto nel rituale, da presentare, per effetto di una profonda quanto inconscia memoria ancestrale, tutti i segni della sofferenza, con un’evidenza sconcertante, dall’accelerazione del battito cardiaco alla sudorazione, dal pallore anemico alle contrazioni dei muscoli addominali. Durante le doglie le parenti accompagnano il travaglio con ritmiche litanie, la cui origine si perde nella notte dei tempi, dal trivolo battuto, letteralmente dolore picchiato, al classico taluorno, un triste accompagnamento vocale delle veglie mortuarie caratterizzato da una lamentazione ritmica scandita da colpi portati alle guance dalle due mani contemporaneamente, mentre la testa oscilla ampiamente avanti e indietro. Alla fine nasce il bambino, spesso è un bambolotto, a volte un grande fallo che viene festeggiato con vermouth e babà”.

Ecco a grandi linee il femminiello, questo straordinario essere, che ha in sé la possibilità di procreare e di generare, è seme e frutto, uomo e donna contemporaneamente ma, paradossalmente, non è né l’uno né l’altro e non è neppure un omosessuale… E non lo è per il semplice fatto che è un femminiello, ossia un androgino.

Nella sua essenza, infatti, è il simbolo di qualcosa che non appartiene del tutto a questo mondo, perchè in lui vive e si muove una grande diversità, nella quale l’omosessualità rappresenta l’aspetto più evidente, ma anche quello più fuorviante. Appartiene alla cultura napoletana, dicevo all’inizio, ma è più giusto dire che è nell’humus napoletano, così gravido di umori mediterranei che è sopravvissuto da una lontanissima antichità, vivo e forte anche quando non si chiamava così.

Ma… c’è un “ma”! Ed è dato proprio dalla festa che il 2 febbraio vede riunita questa straordinaria e variopinta umanità che si riunisce sul monte Partenio per un atto di culto alla Vergine.

La Vergine salvò i due omosessuali, come narra la leggenda, ma perchè renderle omaggio proprio il giorno della Candelora?

Quasi nessuno più fa caso a questa ricorrenza che ha origini antichissime, quando, però, la data era posticipata e coincideva con le Idi di febbraio.

Il 15 di questo mese, infatti, a Roma si celebravano i Lupercalia. una festa in onore del fauno Luperco, protettore della campagna, dei boschi e delle greggi, una divinità rurale, dunque, preposta alla fertilità della terra. Era una festa della natura, che proprio in quel periodo e, secondo la scansione dell’anno agrario, aveva generato la possibilità del nuovo raccolto, poiché il seme aveva iniziato a mettere radici e da questa trasformazione sarebbero poi venuti alla luce, dal grembo della terra, i primi germogli.

Proprio in vista di questa si compivano riti di purificazione e fra gli altri quello della februatio, ossia la purificazione della città: le donne giravano per le strade portando candele a dimostrazione che l’inverno stava cedendo il passo alla primavera e, cosa molto più importante e connessa alla prima, che la vita dal buio stava risorgendo alla luce.

Tale festa della luce e della purificazione, fu abolita dal Papa Galesio I verso la fine del V secolo e fu sostituita con la commemorazione di un’altra purificazione, quella compiuta dalla Vergine: secondo la legge ebraica una donna che avesse partorito un figlio maschio era considerata impura e doveva, pertanto, sottoporsi al rito di purificazione, così quaranta giorni dopo la nascita di Gesù la Vergine dovette recarsi al Tempio per riconquistare la sua purezza.

L’abolizione della festa pagana e la sostituzione con quella cattolica portarono ad un’anticipazione della data perchè i 40 giorni, a partire dal Natale, terminano il 2 febbraio, giorno nel quale attualmente durante la Messa vengono benedette le candele, unica residua testimonianza del rito pagano.

Ecco cosa festeggiano i femmenielli il giorno della Candelora: la fine del buio e il ritorno della luce, la morte dell’inverno e la rinascita della vita nell’ormai prossima primavera.

Ma perchè festeggiano ciò e perchè a Montevergine?

Cosa c’è in questo luogo che può indurre a tali antichissime credenze che, guarda caso, si riallacciano alla figliata dei femminielli e che potrebbero avere autorizzato la leggenda dei due giovani amanti omosessuali?

Sul Monte Partenio, il monte della Vergine, come dice il suo nome, poco lontano dal santuario ci sono i resti dei templi di due Grandi Madri, Cibele e Artemide. Ed è nel mito di Cibele e di suo evirato figlio Attis che si possono trovare le risposte e che si chiude quel cerchio che unisce il femminiello al santuario di Montevergine, alla Candelora e, perchè no, alla leggenda dei due giovani che, scoperti ad amarsi, furono salvati dall’intervento della Vergine, l’ultima Grande Madre del nostro occidente.





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