Dietro le quinte di Sanremo

Ricordi da road manager in trasferta all'Ariston

    di Amedeo Forastiere

Perché Sanremo è Sanremo. Fu il grande Pippo Baudo a coniare lo slogan. È sicuramente l’avvenimento dell’anno, ha sessantanove anni, e non li dimostra. Ha resistito a tante mode musicali, elencarle tutte occorrerebbe molto “inchiostro”. Il festival nacque per caso, forse sarebbe meglio dire per esigenza di cassa al Comune di Sanremo, che durante il periodo invernale registrava poche presenze di turisti.

L’allora direttore delle pubbliche relazioni del casinò, Angelo Nicola Amato, voleva trovare una manifestazione che catturasse l’interesse degli italiani e portasse turisti a Sanremo anche nel periodo invernale. Chiese così la collaborazione ad Angelo Nizza, conduttore radiofonico del programma I tre moschettieri, assiduo frequentatore del casinò municipale ed esperto di musica, conoscitore del mondo musicale e di tutto quello che girava intorno.

Angelo Nizza si attivò a Torino, strinse un accordo con la EIAR (Ente Italiano per le audizioni radiofoniche, la Rai di oggi), era importante trasmettere in diretta la manifestazione. Amato si recò a Milano per chiedere alle case discografiche di inviare dei cantanti.

Il 29 gennaio 1951, con il saluto in diretta radiofonica dello storico conduttore Nunzio Filogamo (Cari Amici vicini e lontani) si annunciò l’inizio, la prima edizione del Festival di Sanremo, ospitata al Salone delle feste del Casinò. Le case discografiche inviarono quattro cantanti (Nilla Pizzi, Gino latilla, Achille Togliani e il Duo Fasano) che gareggiarono tra di loro. Vinse la gara Nilla Pizzi con Grazie dei fiori. La prima edizione fu accolta con molta freddezza da parte della stampa e dei critici musicali, così come dal pubblico in sala che continuò a cenare e parlottare.

Se la prima edizione fu tenuta nell’indifferenza e nel disinteresse pressoché generale, già la seconda edizione incontrò un maggiore favore degli autori e degli editori musicali. Poi negli anni che seguirono ci furono molti cambiamenti di un certo rilievo nel regolamento. Qualcuno definì il festival di Sanremo la grande evasione, la colonna sonora di un’Italia canterina che si affaccia alla modernità, con il sole in fronte e la voglia di fischiettare.

Poi ci furono anni di calo, poco interesse, il mondo della musica cambiava, la stessa Rai non credeva tanto nella manifestazione, trasmettendo in diretta solo l’ultima sera, che decretava il vincitore della gara.

Negli anni sessanta arrivarono come direttori artistici Gianni Ravera ed Ezio Radaelli, riportando il festival all’attenzione degli italiani. Il primo, Ravera, ex cantante, aveva partecipato da giovane ad alcune edizioni della gara canora; il secondo, Ezio Radaelli, dapprima a ventun'anni fu vicesegretario della Camera del lavoro a Milano, poi organizzatore di eventi come Miss Italia, e produttore musicale. Il sodalizio con Ravera duro poco, si distaccò lasciandolo solo al comando del festival come direttore artistico fino al 1986.

Mi fermo qui, perché non voglio farvi la storia del Festival di Sanremo, ma parlarvi della mia esperienza all’Ariston, tranquilli non come cantante. Erano gli anni ottanta, debuttavo nel mondo della musica come road manager. Collaboravo con una della più importante agenzia artistiche italiane, con sede a Roma. A inizio anno l'agenzia mi affidava un artista da seguire per la tournée, s’iniziava proprio da Sanremo.

Voglio raccontarvi di quel festival che non si vede, cioè quello dietro le quinte, o per meglio dire, fa più chic, il backstage. Come road manager seguivo l’artista in tutto, in poche parole ero incollato a lui. Prima le prove il pomeriggio all’Ariston, poi organizzavo le varie interviste e servizi fotografici, fino alla sera con l’esibizione in teatro.

Un brano, per ragioni di tempo, non poteva superare i tre minuti, quindi si passava tutto il tempo dietro nel backstage, cioè da prima dell’esibizione alla fine dello spettacolo.

Ricordo che c’era un direttore di palco, uomo di fiducia di Ravera, di cui non ho saputo mai con precisione il vero nome, che tutti chiamavano Moky. Bassino, pelato, sempre con il suo impeccabile smoking, molto serio, non consentiva a nessun artista, dopo la sua esibizione di lasciare il teatro prima che finisse la diretta. Ho vissuto l’attesa e l’emozione degli artisti prima di cantare, che nei primi anni non riuscivo a capire, sembravano tutti giovani esordienti al primo festival, anche quelli con trent’anni di attività. 

Una sera domandai a Toto Cutugno «Toto perché sei così teso? Emozionato come un debuttante?»

Toto mi rispose: «L’emozione è importante per fare questo mestiere, guai se non ci fosse, se un giorno non riuscissi a emozionarmi sarebbe la fine, farei un altro lavoro».

Ricordo l’ultimo Sanremo di Claudio Villa, nel 1985, ero come al solito dietro le quinte. L’agenzia con la quale collaboravo come road manager quell’anno mi affidò Donatella Rettore. La sera del debutto tremava come una foglia, la lasciai sola nel camerino con il suo fidanzato. Giravo nel lungo corridoio dei camerini dell’Ariston, incontrai Villa che si agitava nervosamente, emozionato. Ragazzi, parlo di un artista di livello internazionale che aveva quarant’anni di mestiere alle spalle. Beh, il Reuccio (così era chiamato Claudio Villa dai suoi fan) era emozionato come un ragazzino alla prima esibizione.

Ricordo anche i pompieri che rimproveravano tutti quelli che per soffocare la tensione fumavano come locomotive; si sa che nel dietro palco è assolutamente vietato fumare.

Una sera, la prima delle tre, quella che trasmetteva molta più emozione, l'artista proponeva un brano nuovo al pubblico in sala che decretava la promozione della canzone oppure la bocciatura. La tensione era inevitabile per tutti, un pompiere strappò con violenza la sigaretta dalle labbra di Toto Cutugno, che la fumava con molto nervosismo.

Per me era tutto tranquillo, io non cantavo e mi divertivo a sbirciare quello che accadeva dietro le quinte, cose che il pubblico in sala non immaginava minimamente. Erano gli anni delle tre serate, giovedì, venerdì, e sabato, i cantanti si esibivano in playback, senza orchestra, qualche ospite, era la kermesse canora dove i cantanti erano i veri protagonisti.

I tempi cambiano, le tre serate sono passate a cinque, con orchestra di oltre quaranta elementi e tutti cantano dal vivo. Il Sanremo di oggi è un grande spettacolo, con attori, comici, imitatori, che riempiono in pieno lo spettacolo, mettendo quasi in secondo piano i cantanti. Il backstage è diventato ancora più caotico, con tutti che corrono e il nervosismo amplificato all’ennesima potenza. Filumena Marturano direbbe: quanti né so’, na’ folla.

Come sempre l’ho seguito anche quest’anno, ma da casa. Non vado più all’Ariston, il road manager è a riposo, ma l’affetto e la nostalgia sono sempre presenti. Sul vincitore di quest’anno non sono molto d’accordo, troppo sconosciuto, anonimo, ma se l’hanno votato vuol dire che meritava la vittoria, forse sono rimasto ai tempi di Ancora di De Crescenzo, L'italiano di Cutugno, e non riesco ad adeguarmi.

Resta però sempre lo spettacolo italiano più seguito, un appuntamento fisso per milioni di telespettatori, la storia della canzone italiana che ogni anno arriva nelle nostre case. Perché Sanremo è Sanremo.

Alla prossima ragazzi.





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