Storia e leggenda dei concept-album

Dai The Who ai Pink Floyd: come cambiò la musica dagli anni '60

    di Antonio Biancospino

Chissà quanti di voi, ascoltando la sigla di CSI, sanno che la musica è firmata The Who, una band britannica fondata nel 1964, da mostri sacri come Pete Townshend (il primo a distruggere un chitarra sul palco) Roger Daltrey e Keith Moon, e che i brani che introducono le avventure di Grissom appartengono ai più famosi concept album della storia del rock, “Tommy” e “Quadrophenia”.
Cosa sono i concept album? Ma come, non sapete che si tratta dei protagonisti di un 68 musicale che spazzò via i 45 giri, di un nuovo modo di ascoltare la musica in cui ogni canzone ruotava attorno ad un unico tema musicale, sviluppando complessivamente una storia. Una rivoluzione in vinile, di cui Tommy (1969) rappresentò lo spartiacque tra vecchio e nuovo. Il primo, vero concept album del rock perché - anche se preceduto, nel 1963, da Little Deuce Coupe dei Beach Boys - a partire da Tommy si parlò di opera rock, tant’é che, nel 1975, se ne trasse una strordinaria versione cinematografica interpretata da Daltrey, nel ruolo del protagonista, e da Elton John, Jack Nicholson, Eric Clapton e Tina Turner. Questa formula fu uno dei tratti distintivi della carica trasgressiva degli Who che, nel 1973, musicarono un’altra opera rock, Quadrophenia, trasformata nell’omonimo film del 1979, in cui esordì un certo Sting.
Insomma, non si trattava più di “ballare” un brano orecchiabile ma di “ascoltare” un intero disco, di cui godere la più ampia visione prospettica, non solo musicale ma anche concettuale. Una storia a suon note! Come in Tarkus, in cui gli Emerson, Lake & Palmer, proponendo un’inedita mescolanza di rock e classica, ricorrono ad un curioso strumento musicale, il sintetizzatore, per proiettare l’immaginazione verso mondi fantastici, dove un mostro corazzato combatte e sconfigge i cattivi!
Lo stesso immaginario dei Jethro Tull che, nel 1971, in uno scenario folk-mitologico, sfondano il muro del mistero con Thick As a Brick, in cui il pifferaio gotico del rock, Ian Anderson, trascina i sessantottini ad una rivolta di mattoni. Sempre gotica è l’innovazione sperimentale dei King Crimson che, nel concept d’esordio, In the Court of the Crimson King (1969), suonano i quattro elementi della mitologia occidentale. Anche i Genesis trasudano suggestioni esoteriche, accompagnate dai travestimenti flautati di Peter Gabriel. Uno stile che culminò nello straordinario Selling England by the Pound (1973), un gioiello da cui è impossibile distrarsi. Come non citare, tra le opere rock del “68 musicale”, The six wives of Henry VIII di Rick Wakeman, ex tastierista Yes, che arpeggia tra tasti, sintetizzatori e moog per dipingere i ritratti di sei regine. Per ultimi i Pink Floyd e l’anno è il 1973, quello di The Dark Side of the Moon, per 15 anni tra gli album più venduti nella classifica di Billboard. Quel disco lanciò per sempre i suoi fans nello spazio siderale, in un viaggio verso l’ignoto di un mondo da cambiare.
E l’Italia? Non preoccupatevi, la nostra parte l’abbiamo fatta alla grande perché, a quei tempi, eravamo all’avanguardia. Chi di voi ha mai sentito citare Il rovescio della medaglia, mitica band allucinata che, girando l’Italia in caravan, proponeva nelle piazze più desolate una “Bibbia” da far tremare i cuori, il monito di un giudizio universale che, di lì a poco, sarebbe esploso negli anni di piombo. Un ritorno alle origini che richiama il Darwin dell’eclettismo vocale di Francesco Di Giacomo, leader del Banco del Mutuo Soccorso. Questa band di rock progressivo creò, con Darwin, un capolavoro, al quale fece seguito la potenza espressiva di Io sono nato libero, il canto nomade di un prigioniero politico che, nel 1973, insieme alle illusioni, chiuse l’eccezionale stagione dei concept album italiani.
Niente nostalgie, per carità. Tuttavia, ragazzi, anche per voi vale l’ironia di uno striscione che campeggiava all’entrata del cimitero di Poggioreale nel giorno più bello di questa Napoli disastrata. Ve lo ricordate? Diceva più o meno così: “Guagliù, ma ca ve site perse!”.





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