Cibo a corte
Banchetti e cuccagne del Seicento in mostra
di Maria Regina De Luca
Quasi a richiamare l’attenzione su un elemento fondamentale della civiltà, di ogni civiltà che abbia come matrice usi e costumi divenuti via via traditio e tradotti, appunto, da una generazione all’altra fino a diventare modus vivendi di un popolo, la Biblioteca Nazionale di Napoli ha organizzato, qualche mese fa, quale evento del suo proficuo calendario una mostra iconografica e documentaria sul Cibo in Scena. Banchetti e cuccagne a Napoli in età mederna. La storia di quella che, nel Seicento, è la seconda città d’Europa, era stata segnata da scambi tra culture talmente intensi da arricchire non solo i mercanti, ma i filosofi, i pensatori, gli artisti, il popolo e tutti e tutto quanto via via si modellava sulle nuove esperienze, come la preparazione e l’allestimento del cibo.
Nel suo Secolo d’oro, Napoli è governata dai viceré spagnoli che non hanno certo la mano leggera su un popolo per definizione ribelle, indisciplinato, armato di un suo orgoglio d’origine anche ignorandone i perché: un popolo dal quale è uscita una delle figure più emblematiche di quei secoli e di tutta la storia del Regno: il pescivendolo-rivoluzionario detto Masaniello che riuscì, in pochi giorni, a dare uno scossone al potere e a contagiare il popolo ad un sogno di libertà e di parità che si sarebbe ripresentato, il secolo successivo, con gli stessi allettamenti ai rivoluzionari del 1799. Sogni apparentemente non realizzati, vani e letali per chi ha creduto in essi, quello di Masaniello e della Repubblica partenopea sono tra i pochi sogni che ancora rendono l’uomo di oggi consapevole di appartenere a una comunità civile, dove l’aspirazione alla libertà e, nella sua corretta interpretazione, all’uguaglianza, non potrà mai scadere nella bestiale violenza di popoli nei quali questi sogni non sono mai stati nemmeno lontanamente scesi ad illuminare, come ali d’angelo, le menti e gli spiriti.
Ma torniamo al nostro cibo in scena, che sulle mense della Corte e della nobiltà portava capolavori edificati con arte da cuochi non solo napoletani, cibi che esalavano i loro profumi tra pizzi e broccati delle tavole imbandite per una classe i cui privilegi cominciavano già a subire degli scossoni. Carri allegorici sfilavano per Toledo celebrando il nume di turno, da Cerere e Flora che avrebbero assicurato il pane al popolo a quello organizzato dal marchese del Carpio con relativo spettacolo sulla vittoria cristiana sui turchi. Tutto ciò era solo un corollario, l’evento era l’assalto alla Cuccagna, la presa da parte del popolo di piramidi e torri cariche di cibo prelibato erette a Largo di Palazzo. A un cenno del re, l’assalto aveva inizio e durava finchè l’ultimo pane, l’ultima ala di pollo, l’ultimo grappolo d’uva non veniva consumato. Disprezzata dagli storici successivi come segno della distanza che i Borbone ponevano tra la Corte e il popolo, le cuccagne furono continuate dagli austriaci. L’allestimento della festa, nel 1709, fu affidata a Vaccaro, con relativo spettacolo su libretto del Metastasio. Divenuta con Carlo capitale di un regno autonomo, Napoli continuò ad evolversi quale centro pulsante dell’arte e della cultura europee. Per le sue nozze, il sovrano volle che a Largo di Palazzo i rappresentanti di tutte le arti e mestieri del regno esponessero le loro creazioni e ne affidò a Sanfelice l’allestimento. Questi nostri cenni solo solo d’approccio alla ben più ricca e istruttiva mostra, dove non manca il ricettario di Gianbattista Del Tufo nel quale le provette cuoche napoletane dei nostri giorni potranno trovare la ricetta della pastiera, e allenarsi per la Pasqua ormai alle porte.