Joan Miro'. Il linguaggio dei segni

La mostra dell'artista surrealista e' visitabile al Pan fino al 23 febbraio

    di Flora Fiume

Ultimissimi giorni per non perdere la mostra del Pan dedicata a Joan Mirò (1893-1983) che chiuderà il 23 febbraio. Il pittore, scultore e ceramista spagnolo è stato uno dei più radicali teorici del surrealismo. “Il più surrealista di tutti noi”, come lo descrisse il fondatore della corrente artistica André Breton. Il suo intento era, come egli stesso dichiarava, “uccidere, assassinare e stuprare”, la pittura convenzionale al fine di poter giungere a nuovi mezzi di espressione. Ci racconta tutto questo “Joan Mirò. Il linguaggio dei segni”, la mostra allestita al Palazzo delle Arti Napoli, che è stata curata da Robert Lubar Messeri, professore di storia dell’arte all’Institute of Fine Arts della New York University, e promossa dall’Assessorato alla Cultura e al Turismo del Comune di Napoli, con il supporto del Ministero della Cultura portoghese, il patrocinio dell’Ambasciata del Portogallo in Italia e organizzata dalla Fondazione Serravalves di Porto con la guida di Francesca Villanti, direttore scientifico di C.O.R. Creare Organizzare Realizzare. L’esposizione conta circa ottanta opere prese in prestito dalla collezione di proprietà dello Stato portoghese. Quadri, arazzi, sculture, disegni, collage che raccontano circa 60 anni di arte dello spagnolo. I visitatori sono accolti, in apertura di mostra, da “Ballerina” un’opera del 1924 che rappresenta l’inizio del percorso artistico del pittore catalano che lo ha portato ad esprimersi con il linguaggio dei segni. La figura viene semplificata al massimo con un processo di riduzione: il corpo della ballerina è sostituito da una linea, la testa è un semicerchio in alto. Le opere accompagnano il susseguirsi degli anni e della maturità. Fino ad arrivare all’ultimissimo periodo, le opere dei primi anni ’80, in cui la figura e il suo sfondo, il segno, la superficie e il supporto raggiungono un tale punto di equilibrio da sembrare semplicemente frammenti di oggetti. La sintesi massima di ciò è espressa in un opera Senza Titolo del 1981.





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