La maledizione Wigan

Corsi e ricorsi del calcio inglese

    di Alberto Medici

Sembrava tutto facile, tutto scritto all’Etihad Stadium per la corazzata Manchester City. Avversario di turno era il “povero” Wigan, squadretta di Championship (serie B inglese) senza troppe pretese, se non una voglia matta di dimostrare il proprio valore, non avendo nulla da perdere al cospetto di un avversario sulla carta impossibile da sconfiggere. Invece accade quello che non t’aspetti. Quello che nessuno si aspetta. Il City sottovaluta l’impegno e il Wigan, coraggioso e per nulla rinunciatario, va ben presto sullo 0-2. I padroni di casa provano la rimonta nel finale (1-2 di Nasri viziato da fuorigioco di Lescott), prendendo anche tre legni, ma non basta. A passare sono gli ospiti: un miracolo sportivo. Ma… aspetta un secondo… 11 maggio 2013, Wembley, finale di FA Cup. Manchester City 0 – Wigan Athletic 1Stesse squadre, stesso risultato.

Il Wigan ormai conscio della retrocessione (l’anno scorso giocava in Premier League), da tutto quel che ha contro i più blasonati avversari che snobbano l’impegno e si sentono già campioni e passa al 91’: partita, coppa e trofeo.

Maledizione per i Citizens, miracolo per quelli del Wigan? O forse forse i campioni non hanno imparato la lezione?

Se il calcio insegna questi valori, di non mollare mai, di crederci sempre, di non sottovalutare l’avversario, di non lasciare nulla al caso specialmente ai massimi livelli, un’altra, forse più importante arriva dal pubblico: stadi pieni, tifo sfrenato e una spinta incredibile alla squadra anche nelle situazioni più impossibili.

Nell’FA Cup (il trofeo più antico del mondo), competono tutte le squadre dalla Premier League alle categorie inferiori, con turni eliminatori lunghissimi e un sacco di partite di qualificazione. Nell’FA Cup, non conta in che serie militi una squadra: ci saranno i tifosi al seguito, l’allenatore schiererà i titolari e fino al 90’ ci sarà battaglia col coltello trai denti.

Nell’FA Cup, non conta solo passare il tempo e sperare di uscire, le squadre di serie B o serie C non partono battute, ma se la giocano e spesso arrivano in fondo.

In Italia i quarti di Coppa Italia sono buttati lì, a metà gennaio, tra un turno di campionato e l’altro, dove sia i top team sia le squadre delle serie minori infarciscono la formazione di seconde linee, sperando di arrivare al 90° senza che nessuno si faccia male e di chiudere al più presto quest’agonia. (Lo stesso avviene anche in Europa League, dove tante squadre preferiscono uscire per concentrarsi sul campionato. Per arrivare dove poi? Quinti? Sesti? Fare 56 invece che 53 punti? Inspiegabile).

Perché anche da noi, invece, la coppa nazionale non viene giocata a marzo o comunque nel fine settimana così da creare più suspense e dare più valore alla stessa? Perché la coppa deve sempre essere vista come un sacrificio e non un’opportunità?

Ah già, siamo nello stesso paese dove i tifosi di una squadra si scagliano e scioperano contro il loro presidente perché quest’ultimo (dopo aver salvato la società dal tracollo finanziario e rateato gli enormi debiti) seguendo un principio di austerità, per semplicemente mandare avanti la baracca, ha tolto loro rimborsi spese, biglietti pagati, soldi per le coreografie e via discorrendo… E questa squadra ha vinto una Coppa Italia non più tardi di maggio 2013.

Ah già, ma tanto è la Coppa Italia…

Il calcio è passione, non è un business.

 





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