Che l'Italia viva, nel nome di Dante
Protocollo d'intesa tra la Società Dante Alighieri e il Calandra Italian American Institute
di Maria Regina De Luca
Alla presenza del professore Anthony J. Tamburri e del segretario generale della Dante Alessandro Masi, è stato recentemente firmato il protocollo d’intesa tra la Società Dante Alighieri e il Calandra Italian American Institute, istituto universitario del Queens College della City Universitaria di New York. Il Calandra, fondato dal professore Tamburri, prende il nome da John Calandra, senatore dello Stato di New York che si adoperò strenuamente perché venissero abolite le discriminazioni verso gli studenti italo-americani che non godevano delle stesse possibilità di accesso a consulenze e aiuti ai fini dei loro studi dei loro colleghi americani. Nel nome di Calandra, il professore Tamburri tuttora segue una sua missione: evitare che l’università e gli studi precedenti vengano abbandonati dai giovani italo americani, con le conseguenze facilmente immaginabili. L’incontro del 27 ottobre prossimo è una fase del progetto che ha come obiettivo fondamentale la promozione della lingua italiana e la divulgazione della cultura italo-americana nel mondo, secondo lo spirito dell’ultrasecolare istituzione: la Società Dante Alighieri fondata nel 1889 da Giosuè Carducci alla guida di intellettuali con le sue stesse aspirazioni. Preceduta dal Manifesto degli Italiani, la Dante venne eretta, nel 1893, con Regio Decreto.
Oggi le sue sedi e i suoi comitati sono in tutto il mondo, centinaia di canali attraverso i quali l’Italia diffonde la propria cultura in tutte le sue espressioni, dalla lingua alla musica al teatro alla letteratura, provvedendo alla formazione dei docenti d’italiano e di quelli dedicati alla scrittura creativa, assegnando borse di studio e premi e rinnovando continuamente le strategie di base dell’Istituzione nel nome del suo credo: che l’uso della lingua italiana non venga mai a soffrire per dimenticanza o per scarso uso da parte di chi vive all’estero; che si rinforzi attraverso la conoscenza la sua identità di altissimo livello culturale, civile e sociale; che i giovani apprendano, accanto ai vari “esperanti” che contaminano il linguaggio, quanto possa essere diversa una frase espressa appropriatamente rispetto a una sintetizzata, quasi simboleggiata, dall’uso dei moderni mezzi di diffusione. Uno dei recenti progetti della Dante è il PLIDA, riconosciuto dai ministeri della pubblica istruzione e dell’università, che attesta la competenza in lingua italiana secondo i criteri stabiliti dal Consiglio d’Europa.
È superfluo parlare qui della nobiltà della nostra lingua, della grande funzione di conoscenza e di civiltà che ha esercitato in tutte le regioni d’Italia e nel mondo, di là dei limiti obiettivi posti dalle diverse fonti linguistiche ed etniche. L’Italia è divenuta tale, almeno politicamente, secoli dopo l’affratellamento che lo studio di Dante aveva prodotto tra lettori, studiosi e studenti delle diverse regioni, secoli dopo la Scuola Siciliana, il Dolce Stil novo e dopo che la gran massa di conoscenza, diffondendosi, aveva omologato le diversità non solo nella lingua, ma nella civiltà e nei costumi.
Questo è l’ideale che guida tuttora la Società Dante Alighieri, e ci sembra che questo vessillo sventoli ben al di sopra di quelli auspicanti separatismi sterili e secessioni tardive. Senza entrare nella diatriba politica, ci sentiamo di dire che questa ininterrotta opera di coesione e di rafforzamento della identità linguistica e culturale italiana, svolta in tutto il mondo da un’istituzione come la Società Dante Alighieri, sia molto più seria, più efficace, più costruttiva, più utile ai fini della crescita del sapere e quindi della civiltà e del progresso che le bandierine delle quali si finirebbe per ornare la carta geografica, a guisa di un piroscafo-giocattolo col gran pavese sul ponte, ma ancorato nel porticciolo di casa, che non porta da nessuna parte perché, da solo, è incapace di affrontare il mare.