Amorevol-Mente, storie tossiche

V puntata della rubrica sugli amori da incubo dedicata al 'silenzio punitivo'

    di Vanna Morra

Qualche giorno fa io e le mie amiche, sotto il calore dei funghi a gas di un bar, tra biscotti e cioccolate calde, ci confrontavamo su quello che diventa, ogni volta, l’argomento di punta delle nostre chiacchierate: i maschi e i loro strambi atteggiamenti. Ormai ci scherziamo anche su, eh, tuttavia i toni si sono fatti più seri quando “R” ha preso la nostra attenzione con «Sapete cosa mi faceva stare veramente male quando stavo con il mio ex? Il suo silenzio. Non era esattamente un silenzio, era il mutismo più assoluto, riusciva a stare zitto anche per settimane, come se io non esistessi e credo che fosse una sorta di manipolazione».

“C” e “A”, però, dissentivano sulla questione manipolativa, «Beh, poteva semplicemente non avere voglia di discutere, non è che ora siano tutti narcisisti», hanno ribattuto d’accordo. «Non lo potete comprendere quel silenzio o forse non so spiegarvelo», continuava “R”. Io ero nel mezzo. E’ vero, il non voler discutere è legittimo e non deve essere paragonato in automatico a una tecnica manipolativa, così come gli stronzi non sono per forza narcisisti ma solo stronzi e basta. E’ anche vero, però, che sia riuscita ad immedesimarmi nei silenzi di cui parlava “R” e, narcisismo o meno, ho compreso benissimo la sofferenza che cercava di spiegare.

Dalla puntata precedente

Sembrerebbe già troppo, vero?! Invece no, per lui dall’alto dell’ego, non sarà mai abbastanza, quindi alle regole del gioco si alterneranno i “silenzi punitivi” per espiare i nostri “peccati”. Ogni silenzio può durare giorni indefiniti, durante il quale saremo ignorate a tal punto che ci sembrerà di non esistere, anzi, ogni tentativo di contatto servirà solo a prolungare il gioco del silenzio.

Lo ricordo bene il primo “trattamento del silenzio” ricevuto, stentavo a credere che lo stessi vivendo sul serio. Possibile che davvero avrei dovuto capire quanto fosse importante, per Lui, la cottura di quei cazzo di gamberetti?

Li cucinò per me perché erano i miei preferiti ma le prospettive di una serata romantica si disintegrarono al quarto gamberetto. Mangiai il primo e mi complimentai per quanto fosse buono, con il secondo ribadii il mio piacere. Al terzo pensai di poter cambiare discorso ma mi fece notare quanto fosse stato bravo nell’impiattamento e concordai con lui anche sulle qualità estetiche. Al quarto gamberetto, “Apocalypse Now”.

«Ma non mi dici niente, non ti piacciono?», mi disse sprezzante con quegli occhi che lanciavano fulmini e saette.

«Come, non ti dico niente? Te lo sto dicendo ad ogni boccone!» Sorridevo comunque, “starà scherzando” pensavo, anche se per la prima volta il suo sguardo mi faceva paura.

«Ma non hai detto niente sulla cottura». Il tono della sua voce mi raggelò.

«La cottura è l’aspetto più importante della cucina e tu non dici nulla, non ti sei accorta che sono cotti perfettamente?» Continuava a ruota libera mentre io lo fissavo basita.

Ricordiamoci che loro sono perfetti in ogni cosa e se lo ripetono da soli come un mantra. Non sapevo dove stesse andando a parare né tantomeno perché, visto i complimenti che gli avevo fatto. Glieli avevo fatti, giusto? Ero disorientata. Loro hanno la capacità di ribaltarti il cervello in un secondo.

«Sei un’ingrata! Ho cucinato per te, il tuo piatto preferito, e neanche un briciolo di soddisfazione merito?»

Stava avvenendo davvero quell’allucinante “conversazione”? Ad ogni modo, dopo aver dato di matto, lanciò le posate nel piatto lasciandomi da sola a tavola in uno stato confusionale.

Vivevamo nella stessa casa, mi ha rivolto la prima parola e il primo sguardo dopo 6 giorni. Li contavo.

In quegli interminabili giorni di silenzio cosmico, non capivo esattamente che pena stessi scontando, per i primi due mi sono anche sfiancata a chiedere, a cercare di estorcergli una spiegazione, niente, lui imperturbabile, io non esistevo. Così mi sono rassegnata e ho atteso l’assoluzione dei peccati, inghiottita da un senso di frustrazione e vuoto mai provati prima.

I litigi sono sempre premeditati e strutturati ad hoc, come nei più efficaci piani editoriali. Il loro successo sta nel fatto che sono strategicamente inseriti dopo il “love bombing”, fase in cui noi siamo cotte a puntino, io lo ero sicuramente più dei gamberetti… oh, che non ho più mangiato!

Ed eccola qui la campana d’allarme con tutto il campanaro. Ragioniamo. Cambiano le scene ma “il nulla” su cui si basano le motivazioni che scatenano “il gioco del silenzio” è sempre lo stesso. Razionalizziamo, razionalizziamo sempre, è l’unica chiave che apre la porta per uscire dall’incubo e anche l’unico modo che può farci ridimensionare “la grandiosità” del personaggio che ci ha raggirato. Grandiosità che si è affibbiato da solo. Riflettiamo, se non fossimo totalmente ipnotizzate, dopo un episodio del genere, il tipo uscirebbe da quella porta a suon di calci nel sedere, di certo non stazionerebbe in casa nostra tronfio e gongolante a godersi il successo del colpo affondato.

Quando ci troviamo di fronte a queste dinamiche dovremmo avere la lucidità di non addentrarci nel labirinto dei perché, non esistono, sono solo frutto del piano diabolico del narcisista. E’ molto più semplice di quanto sembri, prendiamo ad esempio una citazione da “La verità è che non gli piaci abbastanza”. In una celebre scena del film, Alex dice a Gigi “Fidati, se un uomo si comporta come se non gliene fregasse un cazzo di te, non gliene frega un cazzo di te davvero!”. A questa aggiungerei, “Se in un litigio con reazioni spropositate ci sembra che non ci sia un valido motivo, quel motivo non c’è davvero.”

La dottoressa Ivana Napolitano ci spiega che il silenzio punitivo rappresenta una potente forma di manipolazione all’interno delle relazioni tossiche. Identificato in psicologia come atteggiamento passivo aggressivo, il silenzio come “punizione” viene utilizzato per far fronte alla rabbia. I manipolatori tollerano poco e male le frustrazioni, basta una parola “fuori posto”, un commento non gradito, un gesto o addirittura uno sguardo non approvato per minare il loro grandioso ego e per dare sfogo alla rabbia e alla ferita narcisista che tale “sfregio” ha inflitto. Spesso interrompono ogni forma di comunicazione con il/la partner, colpevole di non aver valorizzato in maniera adeguata il loro valore, appunto, scelgono il silenzio senza che l’altro abbia la possibilità di comprendere cosa sia successo. In realtà, ripudiano il confronto, non essendo capaci di sostenerlo. Il silenzio è un’arma potente che lascia chi lo subisce in una condizione di ansia e confusione, è un atto violento che reiterato nel tempo può causare danni psicofisici molto gravi.

Ma perché lo fanno? Cosa ci vogliono dire con questo trattamento? Lo fanno per avere il controllo su di noi e ci stanno dicendo, in pratica, che noi esistiamo solo se e quando loro lo decidono. Credo sia arrivato anche il momento di sfatare il mito che in una relazione tossica ci siano la vittima e il carnefice. Quel “Tossica” ci dice chiaramente qualcosa. I protagonisti di tale relazione sono pari a una drogata e al suo pusher di fiducia, dipendenti entrambi l’uno dall’altra. Per il narcisista il silenzio punitivo è il primo vero test per mettere alla prova la “prescelta” e valutarne il grado dipendenza. Dopodichè avrà il pieno potere sulle “dosi” da somministrare. Lui sa di essere la sua droga e il silenzio messo in atto è l’astinenza.

 

 





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