La poesia di Massimiliano Cicoria

Cadenze sonore, isolamenti, spazi bianchi, bellezza nella raccolta Quarantatré

    di Enza Silvestrini

Cadono in verticale le parole di Massimiliano Cicoria (Quarantatré, Compagnia dei Trovatori, Napoli 2018, con prefazione di Piero Antonio Toma), con una cadenza sonora che si sviluppa nel verso mediante l’isolamento nello spazio bianco. Le parole, in piccoli gruppi o sole, si stagliano nel vuoto fino al limite dei termini monosillabici che rimbombano come spari. La lezione ungarettiana è così assorbita pienamente come, del resto, mostra anche il componimento che ha un attacco inequivocabile: Si / sta / in / piedi / contro la luce, contro / l’evidenza, contro la custodia del / vuoto.

E il vuoto si insinua vorticoso nelle poesie con la forza della sua ineludibilità, del suo essere l’origine: anche la natura (che in questi versi ha così gran parte) con la sua bellezza sembra essersi raggrumata intorno ad esso con gli elementi della terra / che posero argine al vuoto e che riempirono di sostanza il roboante / nulla.

Si parte dalla fine: la poesia che apre la raccolta è infatti Testamento, l’indicazione di un percorso per attraversare uno spazio. Uno spazio da oltrepassare perché della vita e il suo contrario bisogna non / escludere nulla. Già in questo primo testo, il senso del viaggio, dello stare e dell’andare, del raggiungere e dell’oltrepassare (immagini che tornano più volte nel testo) si imprime nella mente del lettore con il ritmo musicale cadenzato dalla brevità del verso e addolcito dalle scelte lessicali. In questo attraversamento, l’autore sa che seduti sulla sponda destra del rivolo bisogna ascoltarne le consonanti, che sugli alberi abbattuti dal tempo / troverai pentagrammi incisi.

Tutto (ritmo, lessico, sintassi, significati) parla di movimento che è come una linea danzante, un equilibrio instabile che, tuttavia, sostiene il mondo e che fa suo il pensiero del confine dove si incontrano inizio e fine. Su questa linea di separazione il mondo appare nella continuità delle metamorfosi (Sono / multiplo di / uno), nella costanza dei suoi ragionamenti (considera ripete più volte l’autore in “Prologo per una vacanza mai iniziata”), nelle sue attese (ad attendere la / mietitura / del grano), fino a concludere che È strano: / tutto / potrebbe / non essere / vero. La dualità che si avverte sul confine si riflette anche nella struttura bipartita di “Diadi” dove le parole, tra il gioco di libere associazioni e i silenzi dei puntini sospensivi, sussurrano il loro segreto.





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