Alessandra Bernaroli, il diritto di restare moglie di sua moglie
Il caso dell'uomo diventato donna, che ha lottato per salvare il matrimonio
di Roberto Rosano
La sirena di Andersen sospirava un principe, un’anima, la vita eterna, e alla strega chiedeva due gambe di donna, perché nel mare si sentiva fuori luogo, tormentata da quella coda di pesce col suo viscido arriccio di squame. La storia che sto per raccontarvi è assai simile. Alessandra Bernaroli è una donna di 46 anni, bionda, magra, alta. Ha una voce da falsettista di contralto. Non ha trucco, così mi pare. È abbigliata in maniera semplice, direi un po’ dimessa, come una comune donna che, dopo una giornata di lavoro, lega i capelli a coda con una fascia elastica, toglie le scarpe col tacco e si abbandona alla rilassatezza domestica, sul divano, magari col marito.
La signora Bernaroli, però, un marito non ce l’ha. Ha piuttosto una moglie. Mentre chiacchiero con lei, sua moglie è in casa, sento i suoi passi, il fruscio dell’acqua che scorre nel lavello, un leggero crepitio di piatti, che forse sta lavando nell’altra stanza. Dimenticavo: Alessandra Bernaroli non nasce donna, si chiamava Alessandro. Prima del cambio di sesso, era un aitante trentenne, laureato in Economia, impiegato di banca, con un fisico significativamente virile, una voce baritonale, un passato nell’Arma dei Carabinieri e una moglie, che è ancora al suo fianco. La loro storia è diventata un caso giuridico di portata internazionale. Ha interessato trasmissioni televisive, radio, giornali. Ha dato luogo ad un intenso dibattito di dottrina tra i più insigni giuristi italiani e poi incontri, convegni universitari, commenti su riviste giuridiche, ben dieci tesi di laurea e un pronunciamento della Corte Costituzionale.
Signora Bernaroli, Lei di chi è figlia?
«Io sono figlia della provincia modenese. Figlia di una famiglia di insegnanti di scuola media, mia madre insegnava lettere, mio padre educazione tecnica. Era anche preside e scriveva come Lei per dei giornali. Sono figlia di un ambiente cattolico.
Ha fratelli, sorelle?
Una sorella, ma non abbiamo molti rapporti, soprattutto in seguito alla mia scelta si sono deteriorati ancora di più.
Nella sua infanzia Lei aveva già la sensazione di quella che in termini medici si chiama disforia dell’identità di genere, cioè la sensazione di trovarsi in un corpo sbagliato?
«Io non è che giocassi con le bambole... Ho sempre usato giochi da bambino: le costruzioni, i primi giochi elettronici, le automobiline. Certo non mi piacevano i giochi violenti, ma non è che mettessi i vestiti di mamma».
Quando si manifesta questa propensione al temperamento femminile?
«Non è che ci sia un momento preciso, c’è una sensazione, ma lieve, apparente, non ben compresa né comprensibile... Con lo sviluppo, con l’adolescenza si è evidenziato un piccolo contrasto...»
Sì ma nel suo caso, quando si sono manifestate queste sensazioni?
«Nell’adolescenza, forse, un piccolo disagio, ma non pensi che ne fossi già cosciente. Non è così».
Quindi lei se ne accorge nell’adolescenza?
«Sì, ma sa allora non c’erano i computer, non si parlava del tema. Quindi facevo fatica a inquadrare questa natura, che mi pareva perversa. Io evitavo di andare a fondo, cercavo di superare, cercando di vivere al maschile, migliorandomi come uomo. Nei miei primi 35 anni sono stato un uomo».
Questo però nella sua dimensione sociale, ma nella sua dimensione individuale, da bambino, ad esempio, nel gioco solitario, non ha mai immaginato, mai inscenato di essere una bambina?
«Combattevo tutto inconsciamente perché mancavano la conoscenza, l’ambiente, il contesto. Non c’era la possibilità di approfondire, né comprendere. La dimensione più logica era percorrere la strada che tutti indicavano come corretta. Perché tutti mi indicavano che quel modello era giusto, dalla maestra al prete, ai genitori».
Genitori, amici non hanno mai, secondo Lei, fiutato questo contrasto?
«No, anzi, io cercavo di essere un uomo al massimo grado. Facevo palestra, body building, avevo una moto. Cercavo di ben figurare. Non avevo né un aspetto, né atteggiamenti effeminati».
Quindi è stata una sorpresa per tutti?
«Per tutti, tutti, anche per me».
Ma il fatto che facesse tanta palestra e cercasse di avere un fisico così tornito era dovuto alla volontà di combattere quella natura, di non destare sospetti?
«È vera solo la prima metà. Io non nascondevo niente, né manifestavo nulla. Era il mio percorso di vita. Io cercavo di essere un uomo e migliorare il mio aspetto maschile, al tempo stesso speravo che non si sarebbero manifestate queste idee di opposta natura. Portavo avanti un percorso maschile perché così doveva essere».
Nel ’97 fa il servizio militare nei Carabinieri. Anche lì non ci furono disagi coi commilitoni, no?
«Io non è che avessi tutta questa voglia di fare il servizio militare. Stavo bene a casa mia. Avevo quasi finito l’università, mi mancava solo la tesi che ho scritto durante il servizio...»
Si è laureata in Economia...
«Aziendale, sì. Comunque...»
La infastidisce se nel frattempo fumo una sigaretta?
«No, no si figuri. Io non volevo il servizio civile, mi sembrava un po’ di imboscarmi».
Quindi il suo era il disagio di tutti i ragazzi che partono per il militare, niente di più niente di meno...
«Sì, quando arrivai là mi trovai anche bene, a parte i primi giorni. Mi inserii bene e il fatto di allontanarmi dalla famiglia mi ha fatto crescere».
Quindi lei tra i commilitoni, in un ambiente così marcato in senso virile, non sentiva alcun disagio?
«No, no, anzi è stata una bella esperienza. Ho operato sul territorio, è stato formativo, un’esperienza utile ed edificante. Nessun disagio».
Il suo caso è particolare perché lei sostiene di amare ed essere attratto dalle donne... Non le è mai capitato di innamorarsi di un compagno d'armi, no?
«No, non perché non volessi, perché queste cose accadono anche se non le vuoi. Non mi piacciono gli uomini, mai piaciuti».
Sì ma nella casistica più comune chi cambia sesso ha gusti coerenti con quella scelta.
«Beh, lì centra un po’ lo stereotipo. Non è che se cambi sesso è perché ti piacciono gli uomini, perché sei un gay all’ennesima potenza, no! Questo è l’immaginario collettivo, ma non è così. Noi dobbiamo distinguere tra l’orientamento sessuale e l’identità di genere, cioè la rappresentazione di sé nel corpo di un uomo o di una donna. Ha a che fare col rapporto che si ha col proprio corpo, mi spiego?»
Ma il suo caso credo abbia fatto letteratura, perché è quasi un unicum.
«Sì, molta ne ha fatta. Ma non perché non ci siano altri casi, è perché nel mio caso c’è un matrimonio...»
Sì, il suo è un caso particolare non solo per il costume ma anche per le implicazioni sul piano del diritto, su cui si sono arrovellati tra i migliori giuristi di questo Paese. Ma ci arriveremo dopo... È il 1995: incontra Alessandra (si chiama come lei!). Come vi siete conosciuti?
«In discoteca, grazie a delle amicizie in comune, ci siamo piaciuti e così... Io mi sono innamorata subito, lei è più riflessiva, sa, ci ha messo di più. Nel mio caso è stato amore a prima vista».
Mi risulta che il suo sia stato un fidanzamento lungo, ben meditato, dieci anni...
«Sì, sì».
Beh, nel frattempo immagino ci siano stati approcci fisici. Il suo corpo reagiva esattamente come doveva reagire?
«Certamente. È andato tutto bene, da questo punto di vista».
Era l’amore di un uomo per una donna, insomma?
«Assolutamente».
Arriviamo al matrimonio. Dopo dieci anni di fidanzamento vi sposate, in chiesa per giunta. La scelta del cambio di sesso viene comunicata a sua moglie dopo tre anni di matrimonio. In questi tre anni com’è andato il menage dei Bernaroli?
«Ma non c’erano sorprese, ci conoscevamo da tanto tempo... Sa , come ha detto, non è stato un matrimonio avventato, c’era un percorso precedente, per cui nessuna sorpresa...»
Beh non minimizziamo, una sorpresa c’è stata... Una scelta certamente sconvolgente, fuori dall’ordinario!
«Lei si riferiva ai tre anni di matrimonio precedenti al momento in cui ho deciso di comunicare a mia moglie il mio dissidio interiore. Prima di allora non c’erano stati problemi degni di nota».
Quindi fino al momento in cui lei ha comunicato questa volontà, anche sua moglie, che, perbacco, condivideva con lei l’intimità, il letto, non si è mai accorta di nulla?
«No, diciamo di no. Non se n’era accorta, no...»
Quando glielo ha detto?
«È difficile dirlo... È stato un momento così difficile, uno sforzo enorme. Diventa uno sforzo enorme anche tornare indietro. Per me è faticoso riprendere quei momenti così intensi... Non voglio raccontarle cose non veritiere. La mia mente ha anche rimosso».
Ho letto che quando le ha parlato, la signora le ha letteralmente rotto un piatto in testa!
«Ma giustamente non si può pretendere che una persona possa capire da un momento all’altro. Molte persone che mi conoscevano non hanno ancora capito e mai capiranno».
I suoi genitori hanno capito?
«I genitori sono i più coinvolti. Pensano di avere sbagliato qualcosa nel loro modo di allevarmi. Io avevo tanto timore di dirglielo. Loro avevano una cultura cattolica. Però, sono riuscito anche con l’aiuto di mia moglie. Ci presentavamo sempre in due a parlare di questo problema e siamo riusciti a farglielo digerire. Comunque, non mi hanno buttato fuori casa. Gli ambienti cristiani che frequentavano consigliavano percorsi psicologici per farmi cambiare idea. Purtroppo mio padre è stato colpito da una malattia per cui è morto due anni fa e non ha fatto in tempo a darmi il giusto sostegno».
E sua madre? La sostiene?
«Ma diciamo che inizialmente sia mio padre che mia madre non mi hanno sostenuto molto. È un dispiacere che dura negli anni e che non consente alle persone di ragionare liberamente, di sicuro».
Da parte della famiglia di sua moglie, invece? I suoi suoceri non le risulta abbiano consigliato alla figlia di lasciarla andare? Non le hanno detto: figlia mia, ma lascia stare, rifatti una vita...
«Anche lì: alcuni componenti hanno accettato, altri no. Mia suocera ha accettato bene ed ha mantenuto un rapporto piacevole con me, altri invece... È un problema culturale, sa. È difficile».
C’è da dire che la sua scelta, per quanto comprensibile sul piano umano, sarebbe stata un banco di prova complicato per chiunque. Insomma, non mi è difficile mettermi nei panni dei familiari... A proposito, figli non ne avete avuti, vero?
«No, e questo ha agevolato il processo. Ha permesso di affrontare meglio tutte le difficoltà che abbiamo dovuto superare. Non abbiamo sentito l’esigenza di un figlio e forse è stato positivo».
Ho letto che, però, ha fatto conservare il seme...
«Sì, l’ho fatto per tenere aperta questa porta, ma per adesso non ci pensiamo, è stata una scelta corretta per ora. Nel futuro non si sa. Non ci precludiamo nulla».
Per giunta, Lei lavorava in banca, un ambiente tradizionalmente rigido, formale. So che ha avuto qualche problemino col capoufficio quando all’improvviso si è presentata in tailleur e gonna invece che in giacca, camicia e cravatta d’ordinanza.
«Sì perché la gonna rappresentava un simbolo femminile. Erano già alcuni mesi che mi truccavo, che mi vestivo in modo un po’ più unisex, però la gonna lo turbò molto. Non è stato un bell’episodio, mi ha ferito molto».
Il primo intervento è avvenuto a Portland, negli Stati Uniti da un chirurgo molto affidabile. È un intervento alle corde vocali. Perché ha deciso di partire dalla voce?
«Sì, era un intervento sui volumi interni, lo faceva solo lui. Vede, la mia voce era bassa, baritonale, non ci stava proprio. Era così maschile! Quindi la voce per me doveva cambiare, altrimenti non sarei neanche potuta partire, non avrebbe avuto senso intervenire prima su altri punti».
Quando ha fatto l’intervento decisivo, invece?
«Ma non so cosa intende per decisivo...»
Beh, su, quello più imponente!
«Il cambio di sesso, intende? È il secondo che ho fatto. Certamente è quello che segna un punto di non ritorno. È un intervento molto importante, anche se oggi si tende a parlare di transizione anche laddove manchi l’intervento ai genitali».
È stato, immagino, anche il più doloroso?
«Difficile dire quale sia stato il più doloroso. Forse il peggiore è stato quello al viso, ma il dolore che ho provato è una fatica per tutto il corpo. Per il cambio di sesso viene somministrata la morfina con una flebo, per giorni e giorni, per far sparire il dolore... La convalescenza è difficilissima».
Cinquecento punti di sutura nelle parti intime, un calvario!
«Sì, il mio chirurgo usava una tecnica molto particolare e innovativa. Non era una tecnica di inversione...»
In che senso di inversione, scusi?
«Si inverte dentro». (Mima il gesto dell’inversione, come se rivoltasse un calzino).
Non c’è, come si immagina, un’amputazione?
«No, si ruota, si capovolge. Si conservano i filamenti nervosi cosicché si abbiano tutte le sensazioni in un successivo rapporto».
Cioè l’organo che fine fa?
«Viene trasformato, rimpicciolito e la pelle viene rigirata all’interno, rimodellata e inserita nei posti giusti. La tecnica del mio chirurgo invece era diversa, più complicata, con risultati migliori, ma aveva una convalescenza più lunga».
Quanti interventi ha fatto in tutto?
«Ho perso il conto, ma credo dodici in tutto. Ho rifatto il viso, piccoli aggiustamenti, i denti ad esempio... Non ho fatto gli interventi più richiesti in questi casi, non ho rifatto il seno, non ho messo gli zigomi, non ho fatto quegli interventi che possono sembrare basilari. Il seno mi è cresciuto con gli ormoni e non ho voluto inserire protesi perché era un’idea che non mi piaceva».
Quanto ha speso, se mi è dato chiedere?
«Beh, non mi sono mai messa lì a fare i conti. Non dico un appartamento, ma quasi. Anzi, oggi come oggi, con la svalutazione degli appartamenti, avrei potuto comprarlo sicuramente».
Ma io credo che il vero cardine di questa storia sia stata sua moglie, Alessandra. Ora non vorrei inserirla in un quadro devozionale, ma insomma è una santa donna. Le è stata vicina, l’ha accompagnata in giro per il mondo, dalla terapia ormonale all’operazione in Thailandia, e rimane sua moglie, nonostante tutto. So che Le dà persino consigli sull’abbigliamento...
«Sì. Non ho una particolare sensibilità. Io preferisco ci sia lei quando spendo. Mi dà suggerimenti, facciamo shopping insieme».
Sa qual era la mia curiosità più grande? Insomma, a Lei non è cambiato granché: si è innamorata di una donna, ed oggi ha ancora una donna al suo fianco, mi permetto di dire, anche nell’intimità. Sua moglie invece ha dovuto adeguarsi ad una nuova sensibilità sessuale, ad altri gusti. Mi consenta di essere chiaro: oggi sua moglie fa l’amore con una donna, non con un uomo.
«Date tutti un peso eccessivo all’argomento genitale, la mia sostanza non è cambiata. Io sono la stessa persona di cui mia moglie si è innamorata. Sono cambiata in senso estetico, ma la creatura di cui si è innamorata è rimasta immutata. La sommatoria che ne deriva è ancora valida, perciò il rapporto può proseguire».
Lei non ha paura che sua moglie possa guardarsi intorno ed innamorarsi di un uomo? Sarebbe comprensibile, in fondo, no?
«Mah, la domanda mi fa un po’ sorridere. Non perché non sia corretta. Ci sta, però abbiamo passato talmente tante esperienze, che questa cosa non mi fa né caldo né freddo. Non è un nostro problema. Siamo in un’altra ottica».
Veniamo ora al punto cruciale ed anche più interessante. Lei torna in Italia, compone la domanda per il cambio di sesso. Ottenuto il consenso, si reca presso gli uffici preposti del suo Comune per aggiornare la carta di identità, cioè per ottenere una f al posto della m laddove si indica il genere...
«E mi viene detto che non è possibile aggiornare la carta senza che sia avvenuto il divorzio. A quel punto, ho detto al funzionario: Guardi che io non voglio divorziare da mia moglie. Noi stiamo ancora insieme».
Insomma l’ufficiale di Stato civile, visto che un caso simile non si era mai verificato in Italia, essendo intervenuta la rettifica del sesso, procede di sua iniziativa ad annotare l’automatico scioglimento del matrimonio, non essendoci alcuna legge che regoli il matrimonio tra persone dello stesso sesso.
«Esattamente. E a questo punto inizia la nostra battaglia perché venisse riconosciuto il nostro matrimonio. Mia moglie su carta risultava coniugata, mentre nel mio caso c’era scritto stato civile: non documentato».
E la vostra storia d’amore, così delicata, diventa un caso giuridico: il Caso Bernaroli. È​ la prima volta in Italia che un uomo cambia sesso dopo il matrimonio, che rifiuta il divorzio e continua a stare con la moglie, di cui è divenuto a sua volta moglie. Insomma, un pasticcio!
«Il caso è così noto che non aggiungo nulla al suo racconto». (Ride).
Ma la faccenda si intrica ancor di più, perché voi siete sposati in Chiesa, con rito concordatario, perciò il vostro caso non interessa solo il diritto civile, ma anche il diritto canonico. Per assurdo, la Chiesa invece riconosce il vostro matrimonio perché, considerando il transessualismo una malattia, sua moglie non avrebbe dovuto abbandonarla per non venir meno alla clausola della “buona e della cattiva sorte, della saluta e della malattia”.
«Esattamente. Se così non fosse, l’operazione chirurgica per il cambio di sesso sarebbe l’unica invalidante di un matrimonio. Il matrimonio non si annulla per nessun’altra operazione. La Chiesa però non ci ha sostenute per niente. Tutt’altro! Un conto è quello che è scritto nel diritto canonico, un conto è il sostegno diretto alla nostra causa, che non c’è stato».
Iniziano 5 anni scanditi dai ricorsi in tribunale sulla base del fatto che in Italia l’annullamento non può avvenire per decisione di un burocrate, ma di un giudice. Il tribunale di Modena accoglie il ricorso, mentre in secondo grado i giudici di Bologna ritengono corretto l’operato dell’ufficiale di stato civile. Ricorrete alla Cassazione, che per dirimere il caso solleva la questione di fronte alla Corte Costituzionale per chiedere se il divorzio imposto violi la Costituzione. I supremi giudici, sulla base del pronunciamento della Consulta, decidono che non si possono annullare le vostre nozze, almeno finché il legislatore (il Parlamento) non avrà riconosciuto le unioni gay.
«Tutto corretto. Una lunga battaglia. Le mie nozze sono state salvate a colpi di sentenze, con una lunga battaglia che Lei ha ripercorso velocemente, ma che ci è costata molte energie. È grazie alla Corte Costituzionale che il mio matrimonio è ancora in piedi».
Le manca qualcosa della sua passata condizione, signora Bernaroli?
«No, ho vissuto una vita intensa, quindi non è che abbia ripensamenti. Ci ho pensato molto prima di fare questo passo, ma sono arrivata ad un punto inevitabile. Sono ben contenta di essere donna, anche se mi è costato fatica».
Ma adesso una legge che regolamenti le unioni civili c’è e si chiama Cirinnà. La vostra condizione è cambiata. Insomma, siete sposate in matrimonio o in unione civile?
«In Italia c’è non una legge seria, ma un compromesso al ribasso, una discriminazione di Stato. Non esiste un matrimonio egualitario. Io ritengo ancora di essere sposata in matrimonio e non in unione civile. Poi se dovessero esserci problemi, io e mia moglie siamo pronte a riprendere la battaglia sia nelle Corti italiane che in quelle europee ed io sono pronta a tornare ad essere Alessandro, a rinunciare al mio nome pur di salvare il mio matrimonio».
Ho capito. Faccia i miei complimenti a sua moglie. Diciamocelo: Giobbe, in fatto di pazienza, era un dilettante...
(Ride) «È vero, è vero... Sono onorata di averla al mio fianco, onorata di tutto quello che ha fatto per me. E del suo amore».
Non ho notizia di un amore tanto grande.