Quell'elogio della pazzia di Eduardo
La commedia 'Ditegli sempre di sì' secondo Ando'. Prova super di Gianfelice Imparato
di Armando De Sio
Dal 9 dicembre al 19 dicembre al Teatro San Ferdinando la Compagnia di Teatro di Luca De Filippo ha portato in scena “Ditegli sempre di sì” di Eduardo De Filippo, con la regia di Roberto Andò. La commedia originariamente in tre atti, scritta probabilmente nel 1925, venne messa in scena dal fratellastro Vincenzo Scarpetta solo nella stagione 1927-28, con il titolo “Chillo è pazzo” e aveva come protagonista Felice Sciosciammocca, collocando il lavoro nell’alveo della tradizione scarpettiana. Sarà solo dopo, negli anni Trenta, quando i tre De Filippo formeranno una propria compagnia che il testo avrà un radicale cambiamento: gli atti non saranno più tre ma due, i personaggi della commedia da ventiquattro diverranno quattordici e il protagonista non sarà più don Felice ma Michele Murri.
Uscito dal manicomio il nostro protagonista sembra perfettamente guarito: cortese attento, affabile. Solo prende tutto troppo sul serio: se la sorella zitella dice che le piacerebbe sposare il vicino di casa, corre in giro a raccontare di questo matrimonio; se un amico di famiglia giura che farà pace con il fratello solo da morto, ecco che si affretta a mandare un telegramma con la mesta notizia. Così l’amico prima manda una corona, poi si presenta in casa. Panico, sconcerto, poi risate e riconciliazione tra i due fratelli. Un altro vicino dà del pazzo a Luigi Strada, un giovanotto che corteggia la figlia. Luigi è un attore e poeta scapestrato, in cui Eduardo rappresenta l’istrionismo e la cialtroneria di alcuni rappresentanti della categoria. Michele sente subito e si precipita a cercare di tagliare la testa al povero innamorato: perché la testa (ne è arciconvinto) è il luogo in cui si annida la pazzia. Troppa allucinata coerenza, riporta inevitabilmente il povero matto in manicomio. Pazzia, si è detto, a fin di bene, niente di furioso; una pazzia candida e pietosa, indirizzata al bene comune. Nella messa in scena di Andò spicca per bravura l’attore che interpreta Luigi Strada Edoardo Sorgente, Carolina Rosi nel ruolo di Teresa Logiudice e Gianfelice Imparato, assoluto mattatore nel ruolo di Michele Murri.
Da sottolineare due scelte registiche di Andò: la prima è l’introduzione musicale dell’Overture de “La forza del destino” di Giuseppe Verdi: quasi a sottolineare la convivenza in questo spettacolo di due anime: l’anima comica e l’anima drammatica. Bellissima inoltre la scena finale in cui tutti gli attori della compagnia intonano l’ouverture, tutti vestiti di bianco, come nel primo atto casa Logiudice sembra proprio un manicomio (con una velata citazione al film premio Oscar “Qualcuno volò sul nido del cuculo” di Miloš Forman del 1975), a sottolineare il confine labile anzi labilissimo tra pazzia e normalità, tra vita e teatro, perché come afferma Luigi Strada, l’attore-poeta da quattro soldi: “La vita assomiglia al teatro e il teatro assomiglia alla vita e questo è tutto”.