LIBRI Una scarpa contro la stronza

L'opera rivelazione della giornalista Vanna Morra

    di Livia Iannotta

Questo è uno dei libri che se qualcuno mi chiede “di che parla”, io non so rispondere. E non perché chi l’ha scritto abbia una predisposizione alla vaghezza, tutt’altro, o perché tenda a un filosofare ingarbugliato, proprio no. Piuttosto perché leggere “Una scarpa contro la stronza”, tra le ultime pubblicazioni di Iuppiter Edizioni, è come fare un giro intorno al mondo di qualcuno e tornare indietro con la mente ingombra di cose – sue, tue, di altri – e in subbuglio. Ti spiazza, ecco. L’autrice, Vanna Morra, debuttante dell’editoria made in Italy, lo sa, e ci inganna. Lo fa già dalla copertina, con quel titolo che sembra fiondarci nell’agone delle commedie rosa, tra i disturbi ossessivo-compulsivi degli shopaholic e bisticci tra donne. Per dire: una specie di spin-off di “I love shopping” di Sophie Kinsella. Poi però…

Poi però inizi a capire che la stronza non ha corpo, non ha voce, e scaraventarle contro una scarpa come suggerisce il titolo proprio non si può. Scopri che il suo vero nome è “artrite reumatoide giovanile” o anche “artrite idiopatica giovanile”, una patologia del sistema immunitario che attacca ossa, organi, sangue o pelle. Di quelle seccature che una volta arrivate non ti scolli più. L’autrice l’ha conosciuta a quattro anni, quando era una bambina con la fissa del pallone e una casa piena di cugini. Mangiando mangiando, la stronza ha sfiancato ogni scelta, l’ha frenata quando la voglia di correre era tanta, l’ha costretta a scendere dai tacchi, a snellire sogni e guardaroba. Una stronza come si deve: chiassosa, egocentrica e cazzuta. Vanna, però, cazzuta lo è di più. Perciò si è corazzata da Daitarn 3 e ha sferrato un maxi attacco solare. Facendo del buonumore una scelta. E se “lei” vieta un decolleté, va bene, si rimedia con un paio di Converse, modello con zeppa interna. Scarpe che l’autrice chiama «compagne fidate, alleate di tela indistruttibili».

Non fraintendiamoci: il libro va giù come acqua. Merito di una penna pimpante, sagace, ironica e autoironica, che riesce a rendere spassoso perfino un ricovero ospedaliero. Ma dentro è tutto un labirinto emozionale. Quarant’anni di metamorfosi personali in 180 pagine. Ci sono le trasferte in ospedale al grido di “tutti insieme appassionatamente”, una famiglia rocciosa, un pappagallino maschio che si chiama Olimpia ma non vuole dire “Forza Lazio”,  gli amori storici e quelli impossibili, i look instabili, i concerti del cuore, gli idoli degli anni ’90, spodestati da quelli del 2000, le scorribande in corsia, gli spilli vertiginosi su cui tacchettare nelle notti brave, i biologici come la pillola di “Limitless”. E c’è un’efficiente squadra di angeli, affollata e varia. Uomini e donne senza ali ma col rimedio giusto al momento giusto, incrociati grazie a quello che un po’ sbrigativamente chiamiamo destino. E se tutto questo ancora non vi sazia, ad alzare la temperatura arriva un duello legale contro la clinica che l’ha coccolata da bambina e rovinata da adulta. Duello vinto, ça va sans dire.





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