La guerra di Remark rivive su Netflix
Perche' leggere e vedere 'Niente di nuovo sul fronte occidentale',
di Mario Vittorio D'Aquino
È il novembre 1918, si respira aria di sofferto armistizio con la Triplice intesa, ma gli uomini continuano a cadere tra un corpo a corpo, uno scontro a fuoco e una disordinata ritirata. I tedeschi non riescono a superare le linee nemiche e gli ordini, impartiti da un generale troppo impegnato a sbuffare dalla sua prorompente pipa e lamentarsi della qualità del vino servito a tavola, di insistere vengono puntualmente disattesi. La capitolazione è vicina. Il preambolo di una tragedia è illustrata in Im Westen nichts neues per tutti Niente di nuovo sul fronte occidentale, ispirato al maestoso romanzo-diario di guerra scritto da un reduce, Erich Maria Remarque pseudonimo di Erich Paul Remark (1929, Neri Pozza).
Il film è con pochi dubbi un capolavoro cinematografico targato Netflix, una perla che scintilla di vita in una storia che conosce solo sangue, morte e distruzione. Nel sanguinoso fronte occidentale combatte Paolo Bäumer (Felix Kammerer), uno studente liceale che insieme ai suoi compagni lascia la scuola per arruolarsi come volontario. L’ingenuità e l’esuberanza giovanile, una volta giunti lì, farà ben presto spazio a un angoscioso istinto di sopravvivenza, a un sovrumano spirito di conservazione e a un disperato vincolo di cameratismo per allontanare la paura di finire trucidati.
Ciò che rende il film di un eccezionale spessore, paragonabile a quello di un cannone utilizzato dal nemico per far saltare vie le trincee in cui si difende il povero Bäumer, è la corretta interpretazione dei momenti salienti descritti da Remarque nel libro. Non si può filosofeggiare, non in guerra. Gli autori del capolavoro Netflix lo sanno e armandosi di telecamera girano scene incredibili dal punto di vista puramente tecnico con un accompagnamento di musiche incalzanti. Menzione di merito anche per le ambientazioni: queste, fredde e smorte, ricordano le anime dei soldati gettati in una battaglia combattuta con metodi inumani. Proprio nella Prima guerra mondiale, infatti, faranno le loro prime mostruose comparse armi di distruzione come lanciafiamme, granate e il temibile gas. Sarà anche il primo incontro tra uomo e macchine della morte come i carro armati che esprimono come nient’altro l’orrore di una “nuova” guerra. Al fronte si cresce in fretta, si invecchia in fretta e si muore altrettanto rapidamente.
Paulo Bäumer però è ancora lì insieme ai suoi camerati Kropp (Aaron Hilmer), Tjaden (Edin Hasanovic), Muller (Moritz Klaus) ma soprattutto "Kat” Katzinski (Albrecht Schuch), uno dei militari più abili del reggimento: quando parla è lapidario come un saggio e nelle missioni è una formidabile risorsa. Nei mesi passati in trincea, il giovane Bäumer si interroga su come sarà la vita una volta che finirà tutto l’orrore a cui ha dovuto assistere. Un orrore che lo ha privato non solo della gioventù ma anche di qualsiasi radice, sogno e speranza. Il film entra in rotta di collisione con la morale del libro che “non vuole rappresentare né una confessione né un’accusa; è il tentativo di raffigurare una generazione la quale – anche se sfuggì alle granate – venne distrutta dalla guerra”, in cui anche i più alti e valorosi ideali di patria e onore sbiadiscono velocemente tra le bombe a mano e le raffiche delle mitragliette.
Perché sì, quella generazione, già decimata nel corpo e nella mente, una volta terminato il conflitto, ha avuto poi il problema di doversi reinserire nella società. Quegli eroi finiti nella macchina tritacarne del fronte si sono ritrovati ad essere dei profughi in patria, fuggendo innanzitutto da loro stessi e da cosa hanno vissuto. Iniziavano appena “ad amare il mondo, sono stati costretti invece a sparargli contro. La prima granata li aveva colpiti al cuore; esclusi ormai dall’attività, dal lavoro, dal progresso, avevano smesso di credere in qualcosa. Credevano, ormai, solo alla guerra”.
Niente di nuovo sul fronte occidentale è così uno dei prodotti più interessanti nel catalogo della piattaforma streaming americana. Con un finale rivisitato ma che non stravolge il buon lavoro degli autori convincendo nella loro chiave di lettura, il film ha l’essenza di una piuma che cade leggera su un campo di battaglia fatto di voragini, urla e fango. Una medaglia al valore viene conferita per la scelta di far risorgere un’opera classica moderna senza tempo che pone una profonda riflessione sulle milioni di vite rotte dal conflitto, sull’(in)utilità stessa della guerra ma soprattutto, citando Hannah Arendt, sulla banalità del male.