Ragazzi, scrivete lettere d'amore

L'emozione che, in un passato ancora immune alla tecnologia, solo l'inchiostro sapeva dare

    di Amedeo Forastiere

Nel 1958 Mario Soldati realizzò il film Policarpo, ufficiale di scrittura, tratto dal romanzo La famiglia De’ Tappetti di Luigi Arnaldo Vassallo, con uno straordinario Renato Rascel nel ruolo di Policarpo De’ Tappetti, calligrafo diplomato e modestissimo impiegato ministeriale della Roma Umbertina. La penna era il suo “ferro del mestiere”, ne andava fiero e nel taschino della giacca, in bella vista, non mancava mai. Allora le lettere si scrivevano di proprio pugno...

A inizio Novecento iniziarono le prime trasformazioni negli uffici ministeriali. La tecnologia, il progresso scalpitavano, bisognava ammodernare il mondo del lavoro. Il calligrafo diplomato Policarpo De’ Tappetti, acerrimo nemico della macchina da scrivere, dopo le prime resistenze dovette accettare il cambiamento. La sua scrittura perfetta, rigorosamente a penna stilografica, dovette cedere il passo alla modernità.

Ormai le vecchie macchine da scrivere sono oggetti da museo o da collezionisti nostalgici del passato…passato. I giovani d’oggi non le conoscono, non saprebbero nemmeno usarle. Bisognava essere molto bravi per scrivere a macchina. I dattilografi li ricordo bene, quando mi affacciavo dell’ufficio dattilografia del giornale restavo incantato, scrivevano senza mai guardare la tastiera, non sbagliavano una parola.

Oggi si scrive con il pc, quando scappa l’errore viene evidenziato con una riga rossa, come faceva la maestra alle elementari. Non si scrive più di proprio pugno, i ragazzi quasi non sanno più cos’è scrivere con la penna. Per i grafologi resta molto importante scrivere di proprio pugno. Sono in grado di svelare aspetti nascosti del carattere dello scrivente. Non si tratta di teorie esoteriche o fantasiose come i segni zodiacali: il carattere di ogni persona tende a manifestarsi anche sui movimenti del tracciato della scrittura. Secondo alcuni studiosi, la scrittura manuale in corsivo, nel momento in cui attiva la connessione mano-occhio-cervello, stimolerebbe le aree cerebrali deputate all’apprendimento, favorendo quindi l’assimilazione e la memorizzazione di concetti molto più che scrivendo su una tastiera.

Quando’ ero militare la posta tradizionale, la lettera scritta a mano, era l’unico modo per contattare la famiglia ed essere aggiornati di cosa accadeva a casa. Un mio compagno d’armi Carmine, sposato, lasciò la moglie incinta per servire la patria. Ricordo l’emozione quando riceveva le lettere della moglie che lo aggiornavano sulla gravidanza. Si notava subito la sua posta, la moglie usava le buste rosa con il foglio dello stesso colore e profumato.

Quando il mio compagno d’armi leggeva le lettere della moglie, oltre a emozionarsi per le parole d’amore che gli scriveva, allargava le narici per aspirare il profumo che emanava il foglio rosa... Si emozionava il commilitone, lasciando cadere una lacrima che bagnava il foglio profumato. Diciamoci la verità ragazzi, quando si legge una lettera scritta di proprio pugno è tutta un’altra cosa. Si percepisce l’emozione che ha provato la persona scrivendo. Spesso le parole che nascono dalla penna sono piccole, tremanti. Le consonanti e le vocali chiuse stanno a significare che la persona che scriveva viveva un dolore, spesso per la lontananza della persona amata. Le lettere d’amore sono sempre le più belle.

Una volta si scriveva di proprio pugno anche a un amico, come cantava Lucio Dalla, per distrarsi un po’ e siccome il suo amico era molto lontano più forte scriveva. Anche il cinema ha dato importanza alla lettera scritta di proprio pugno; ricordate quella dettata da Totò e scritta da Peppino? Totò che ordina a Peppino di prendere carta, calamaio e penna. Prima di iniziare a scrivere la lettera alla signoria ballerina, fidanzata del nipote Gianni, Peppino già si asciuga il sudore: una faticata scrivere, per chi non era abituato. La scena della lettera di Totò e Peppino è un classico immortale del cinema italiano che tutti conoscono, anziani, attempati e perfino giovanissimi che con carta, calamaio e penna non ci scrivono più. Fu imitata con altrettanta arte da Troisi e Benigni nel film Non ci resta che piangere, in cui i due scrivono a fra’ Girolamo Savonarola per chiedere la grazia in favore l’amico macellaio il Vitellozzo.

Ai ragazzi di WhatsApp, Messenger, S.M.S, Instagram, Facebook (e forse dimentico qualche altro modo di comunicare della rivoluzione digitale) voglio dire: provate a scrivere una lettera alla vostra ragazza, con carta penna e calamaio, come diceva Totò. Mi rendo conto che sarà un’impresa difficile, che correrete rischio di essere presi in giro, ma provateci, fate sentire quanto è forte, tenero, vero, il vostro amore, e quanto vi manca. Tremando con la mano mentre quel brivido vi corre lungo la schiena. Se vi dovesse scendere una lacrima non asciugatela, lasciate che bagni il foglio cadendo sull’ultima “o” di un ti amo prolungato. L’inchiostro leggermente si scioglierà, e il ti amo sarà più vero, come quando lo sussurrate all’orecchio bagnato dopo un bacio.

Vi lascio con una poesia di Salvatore di Giacomo, che parla proprio di una lettera d’amore, di quanta passione mette l’innamorato nello scriverla.

Lettera amirosa

Ve voglio fa’ na lettera a ll’ingrese, chiena ‘e tèrmne scivete e cianciuse, e ll’aggia cumbinà tanto azzeccosa ca’ s’ha d’azzeccà mmano pe nu mese. Dinto ce voglio mettere tre ccose, nu suspiro, na lacrema e na rosa e attuorno attuorno a ll’ammillocca nchiusa ce voglio dà na sissantina ‘e vase. Tanto c’avita dì: Che bella cosa! Stu nnammurato mio quanto è priciso!

Mentr’ io mme firmo cu gnostia odirosa il vostro schiavottiello: Antonio Riso.

Alla prossima ragazzi.





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