La la land, fuoriclasse incompreso

Sei Oscar al musical di Chazelle, ma il miglior film è un altro. E non è una fiaba

    di Maria Regina De Luca

LA come Los Angeles, l’antico Pueblo de Nuestra Señora de Los Angeles fondato dai coloni messicani nel 1781: la Città degli Angeli con le sue lunghe e assolate spiagge sul Pacifico e divenuta nel tempo la città di Beverly Hills e del Sunset Boulevard, la via delle stelle dai bordi erbosi come una strada campagnola lungo le ville più belle del mondo; la città degli Studios dove si ricostruivano le città inizio secolo come la San Francisco distrutta dal terremoto o la fattoria dei cow-boy, interi quartieri, strade, ville e colline usate come location dei film indimenticabili di buona parte del secolo scorso: la città dei Charley Chaplin e di Via Col Vento, di Harvey e del Mago di Oz, di Jesus Christ Superstar e di La Febbre del Sabato sera…

Sulla collina, quasi come un cartello appuntato provvisoriamente, ecco la scritta più affascinante del mondo: Hollywood. Ecco La La Land dove continua, apparentemente, a vivere il cinema, il grande Cervello dal quale nascevano Eva contro Eva e Niagara, La finestra sul cortile e Luci della città. Tuttora ogni anno, dopo una fervida gestazione, il Cinema partorisce la sua molteplice prole  ma, come avviene nel mondo animale, i suoi componenti non nascono tutti con gli stessi connotati e con la stessa fortuna. Nel tempo, si è andato creando un modello al quale è d’obbligo uniformarsi e che obbedisce, ovviamente, alle esigenze del pubblico. Se il pubblico chiede amore, musica e sentimento, stile e sogni oppure violenza, frastuono, dissacrazioni di ogni genere o carne umana da mangiare come i cavalli di Diomede, il Cinema si conforma all’ obiettivo sovrano: piacere al pubblico, con i minimi mezzi e i massimi risultati. Ed ecco gli schermi irrorati di lacrime e sangue, ecco le scene tragiche fino al sadismo o sessualmente esplicite fino al ridicolo, ecco scatenarsi  immagini suoni colori ombre che assalgono i nostri sensi e la nostra essenza umana, la nostra sensibilità sia pure un po’ attutita  dall’abitudine al brutto e cattivo;, ecco gli opinionisti, nel nome di lacere ideologie, confinare il bello e il buono nel deja vou e osannare la crudezza, la violenza, l’oscenità, la volgarità raccogliendoli tutti sotto il mantello protettore e menzognero della ‘verità’.

Se le cose stanno così è chiaro che La La Land non poteva e non doveva vincere. Come si è permesso, il regista, di riportare in ballo cose bandite dagli schermi e dai palcoscenici come le fiabe e le romanze d’amore? E che ha voluto significare con quei colori lucenti, con quelle musiche, con quelle danze, quel lento e sognante non-sense della vicenda su ondate di fantasia e di ricordi? Forse, se La La Land avesse avuto il meritatissimo premio, molti dei giudici e degli spettatori che hanno tratto sbrigativamente le loro decisioni avrebbero avuto uno scossone talmente forte da subirne conseguenze letali. E poichè la popolazione dei ‘pollici versi’ contro la bellezza, la bontà, la finezza, la verità si va infoltendo a vista d’occhio come la gramigna, che però nessun buon seminatore pensa di estirpare, ecco evitata una strage.

La La Land non va bene per i nostri tempi, è fuori moda, fuori tempo, fuori regola, fuori tecnica registica e scenografica, è fuori luogo, fuori discussione tra quanti credono che il cinema sia per masturbazioni intellettuali invece che per pensare, credere nella speranza, sognare. La La Land è un fuoriclasse, ma il pubblico al quale parla non è di questo mondo dove nessuno ha il coraggio di riconoscere e di battere le mani a un capolavoro.





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