El Tanque colpisce ancora

German Denis punisce il Napoli e abbraccia suo figlio

    di Max De Francesco

Non l’ha mai chiuso il conto con la sua ex squadra e finché vivrà di campo non lo chiuderà. Due stagioni al Napoli, dal 2008 al 2010, 75 presenze e 15 reti, tanto sudore, mai convincente, però, per società e pubblico, poi Udine, quindi Bergamo. German Denis, argentino uscito da un film di Van Damme, ogni volta che vede azzurro indovina la porta. 5 gol contro l’ex, un bottino che è poesia di riscatto e non di risentimento. La consacrazione l’ha trovata con l’Atalanta, nel profondo Nord, lontano dai soli del Sud tra dialetti stretti e poche ciance, nella nebbia e nell’umido quotidiano, in uno stadio agguerrito e in una società retta da un altro ex, l’irpino Pierpaolo Marino, suo nume tutelare e cantore del primo gol. Classe ’81, maglia numero 19, casa e famiglia, movimenti alla Robocop, per tutti è El Tanque, il carro armato, per quel suo incedere lento ma inarrestabile, per quel suo “farsi spazio tra gli avversari” con rabbia muscolare ma testa fina su spalle larghe. In una domenica senza il tepore del cielo, su quel conto aperto con chi lo liquidò troppo in fretta, ha segnato una doppietta esplosiva di destro e, come dessert, un assist di testa per il mignon Moralez.

Certo, il Napoli gli ha servito la vendetta sui piedi: sul primo gol Reina dimentica di essere l’estremo difensore e si tuffa sul pallone come un amante appesantito sul letto di un motel a ore; sul secondo gol Inler, concentrato come un pollo, gioca alla “svirgola” e invece di rilanciare l’azione, la ribassa, con un lancio al contrario di comicità involontaria, raccolto da Denis con sorriso mascellare. Ma di una partita mai memorabile tra una squadra di guerrieri e una di dormienti, entrerà stavolta nelle pagine del Gran Libro del Calcio non un gesto atletico ma l’esultanza unica dell’argentino che, dopo aver asfaltato la difesa e uccellato Reina, si fionda dietro la porta e va ad abbracciare il figlio, chioma ramata,  occhi schietti e un mito come papà. In sottofondo l’urlo della curva e in scena l’abbraccio della squadra alla famiglia Denis. In quell’istante, mentre quel gomitolo nerazzurro d’euforia e adrenalina si srotola e libera il piccolo e grande El Tanque, prendi coscienza del miracolo del pallone, di quanto ancora un evento sportivo possa aprire le ali agli scrittori, sciogliere sentimenti e raccontare storie di vendette puntuali e carezze paterne. Di come, almeno per un attimo, il calcio urlato venga seppellito da una corsa verso un figlio.





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