Riflettori sul lato oscuro della Chiesa

Don Mauro Inzoli, il prete condannato a quattro anni per abusi su minorenni

    di Maria Neve Iervolino

Don Mauro è un prete lombardo, ha sessantasei anni e ha dedicato la sua vita ai ragazzi come rettore della Fondazione Fides et Ratio di Lodi, del liceo linguistico Shakespeare, e come parroco della chiesa della Santissima Trinità di Crema, è stato inoltre organizzatore di campi scuola e vacanze del movimento Gioventù Studentesca.

Ma don Mauro non è solo un amico dei giovani, è anche un membro dell’associazione laicale cattolica Comunione e Liberazione, fino a pochi anni fa presidente del Banco Alimentare, e da sempre impegnato sostenitore dell’importanza dei valori della famiglia naturale, come ha dimostrato nel 2015 quando al convegno Difendere la famiglia per difendere la comunità tenutosi a Milano è stato immortalato seduto in seconda fila alle spalle del presidente della regione Lombardia Roberto Maroni.

Don Mauro Inzoli sarebbe ancora oggi un prete qualunque, portatore dei valori cristiani conservatori, rappresentate integerrimo della Chiesa politicamente impegnata, se il suo nome non fosse salito recentemente agli onori della cronaca in seguito ad una condanna con rito abbreviato a quattro anni e nove mesi da parte del Tribunale di Cremona per abusi su minorenni con l’aggravante dell’abuso di autorità, pena ridotta di un terzo rispetto a quanto chiesto dal procuratore capo Roberto Di Martino.

Prima del processo il Vaticano aveva già preso provvedimenti interni: nel 2010 Benedetto XVI punì Inzoli con la riduzione allo stato laicale. A seguito del ricorso dell’imputato nel 2014, sotto il pontificato di papa Francesco, la Congregazione della Dottrina e della Fede, l’organo giudiziario della Chiesa, ha scelto di applicare la pena medicinale perpetua: il sacerdote rientra quindi nelle fila della Chiesa ma si sottopone ad un regime di penitenza che comprende il divieto di esercitare le funzioni inerenti al suo ufficio. La Chiesa ha usato sì i propri organi giudiziari per redimere il prete pedofilo, ma secondo Di Martino «La Santa Sede non si è prodigata nella consegna degli atti» per il procedimento penale italiano, attuando esclusivamente una giustizia interna. Si è rifiutata di trasmettere alla autorità giudiziaria italiana gli atti raccolti durante i propri dibattimenti, compiendo così un rifiuto di rogatoria, linea tipica della giustizia vaticana nei confronti di quella italiana, come già visto per quanto accaduto con lo scandalo dello IOR. Sembra quasi che le gerarchie vaticane siano convinte dell’attendibilità della Constitutum Constantini, Donazione di Costantino, e agiscano di conseguenza.

In realtà molto più pericolosa dell’esistenza sul medesimo territorio di due parallele tipologie di giustizia è la cementificazione creatasi in Italia, per motivi sommersi e tutt’altro che cristiani, tra alcune frange della politica italiana, in primis la Lega Nord, e alcuni luoghi oscuri della Chiesa cattolica. Anche se sono passati molti anni da quando i riflettori di Boston si sono accesi sull’esistenza di preti pedofili protetti dalle diocesi in tutto il mondo, l’incendio continua a divampare, ininterrottamente alimentato da una Chiesa disinteressata alla collaborazione con la giustizia penale, e da curati troppo interessati ai ragazzi.





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