Professione pubblicitario

Magia o management?

    di Silvio Fabris

L’immagine di un prodotto, di un’azienda, di un servizio, non può essere frutto di una semplice Intuizione del momento, bensì di un lungo lavoro di analisi e di ricerca. Oggi, cultura professionale significa sapere quanto in chiave di ricerca viene fatto nel mondo.

L’uso del solo istinto nella creatività ha fatto dire e scrivere che i pubblicitari non hanno più immaginazione mirata.

L’uomo di comunicazione è colui che cerca in ogni modo di essere aggiornato, considerando che il nostro lavoro è fatto di elementi come: azienda, prodotto, consumatore, mercato che variano continuamente. Tali elementi richiedono un lungo lavoro di analisi, di una ricerca oggettiva di segni, metafore, icone e quant’altro possa servire a strutturare l’insieme dell’immagine. Le aziende giustamente vogliono che il denaro investito abbia una resa a breve, medio o lungo termine: la magia e l’istinto non danno affidamento, occorre la tecnica. Oggi si è scoperto che una laurea o un diploma non vanno considerati un punto di arrivo per un lancio professionale, ma un punto di partenza  teorico, perché le università si basano solo sulla teoria. Non a caso continua ad esserci quel solco profondo tra il mondo della istruzione e quello del mondo del lavoro, a differenza di quanto accade negli altri paesi occidentali. Forse il termine pubblicitario è superato, oggi si tende ad usare il termine comunicatore d’impresa e forse è più giusto.

In fondo in questo sta il bello del nostro lavoro: il considerare criticamente il presente, perché il futuro prossimo sarà diverso e la soluzione adottata oggi non può essere riproposta domani, poiché domani sarà una realtà diversa, per il cliente, per il mercato, per il consumatore: la decisione giusta  verrà solo dalla cultura professionale.





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