Il buono e il cattivo

Pep Guardiola e Josè Mourinho. Due modi diversi di intendere il calcio.

    di Alberto Medici

Spesso, parlando di calcio, si sente dire che “l’allenatore non conta nulla” oppure “sono i giocatori in campo che devono correre” e così via. Quest’affermazione potrebbe essere esatta per il 90% degli allenatori o poco più. Pochi sono infatti quei tecnici in grado di caratterizzare il gioco della propria squadra in maniera così visibile da renderla quasi un’estensione della propria concezione di calcio. I due più grandi esempi? Pep Guardiola e Josè Mourinho. Guardiola è il “principe” della Catalunya ed è stato capace di tradurre in gioco sul campo il credo calcistico di una regione intera. Possesso palla ipnotico, occupazione della metà campo avversaria, triangolazioni strette e rapide, verticalizzazioni, “imbucate” e tagli improvvisi e un’idea di difendere che prevedeva il recupero-palla in soli 5 secondi, pressando sempre “in avanti”. Non si è mai visto infatti il suo Barca attendere gli avversari o provare a chiudersi per poi ripartire con veloci contropiedi. In Catalunya si è soliti bonariamente dire, che la corrida fu formalmente abolita nella regione, per permettere alla gente di spostarsi al Camp Nou a vedere i “ragazzi del Pep” maltrattare il malcapitato avversario di turno Mourinho, agli antipodi, basa invece la sua concezione calcistica su una difesa ordinata e chiusa come una cassaforte, ripartenze fulminee e supersoniche, tre passaggi e goal. Josè è il motivatore per eccellenza: nessuno riesce a spingere i giocatori a dare il massimo come lui riesce a fare. Carismatico, spesso arrogante e presuntuoso, carica la squadra come una molla impazzita, ed è allenatore-sinonimo di successo: Porto, Chelsea, Inter o Real Madrid che sia, lui i risultati li centra sempre. L’apice del loro dualismo scocca nell’anno 2010: Mourinho lascia l’Inter – appena riportata sul tetto d’Europa dopo 45 anni – e approda come tecnico sulla panchina del Real Madrid. Neanche a dirlo, Barca-Real diventa la sfida totale, dentro e fuori dal campo. Spettacolari sul rettangolo verde e gonfie di polemiche in sala stampa. Il biennio 2010-2012 vede sfide incredibili in campionato, epiche semifinali di Champions, persino finali di coppa del re dal livello tecnico spaventoso. I migliori giocatori del mondo, le migliori squadre del mondo, i migliori allenatori del mondo. Garanzia di spettacolo. Ma da dove arriva tutta questa rivalità? E dire che i due si conoscono molto bene (Mou fu interprete al Barca quando Pep era capitano di quella squadra fortissima). La spiegazione è semplice: nessuno dei contendenti vuole perdere. Sono campioni, professionisti, vincenti nel DNA. Ed è ovvio che quando due pesi massimi del genere si scontrano, l’evento non può che essere epocale. Adesso Pep non è più sulla panchina del suo amato Barca, allena la squadra che sta dominando il mondo del calcio negli ultimi due anni: il Bayern Monaco. Il secondo tempo della partita allo Etihad Stadium contro il Man City andrebbe fatta vedere e rivedere in tutte le scuole calcio, per capire a che punto sta il suo tiki-tak(en) teutonico: concretezza tedesca e classe catalana, mix perfetto. Mou invece è tornato al suo “primo amore”, il Chelsea. Solito 4-3-3, solita compattezza, solita incredibile pragmaticità e praticità, essenziale allo stato puro. Ovviamente dove saranno con le loro squadre? In testa a Bundesliga e Premier League. La Champions? Una formalità il passaggio agli ottavi. Coppe nazionali? Ancora in corsa.

Sia mai che anche quest’anno quei due…





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