Bufera su San Gennaro

4 membri della Curia nella Deputazione. Dove finiscono laicità e autonomia?

    di Maria Regina De Luca

Quanto a tesori, un’altra se ne narra di idee bislacche, a pochi mesi da quella surreale di portare all’Expo, o almeno al Quirinale, la Tela delle Sette opere di misericordia. Commissionata  al Caravaggio dai nobili napoletani per il Pio Monte (1601) e pagata 470 ducati con tanto di ricevuta firmata la splendida tela, sintesi delle opere di misericordia praticate dai fondatori presso i poveri, è sacrosantamente di proprietà del Monte, ma gli ingegni che irradiano dal centro le loro illuminate decisioni sulle periferie, ne hanno preso un’altra, ancora più peregrina: è il Tesoro di San Gennaro a venir preso di mira con un’apparentemente innocua iniziativa, del tutto gratuita in un momento nel quale la politica dovrebbe pensare ai terribili "chiari di luna" nei quali versa la nazione.

Come si sa il tesoro di San Gennaro, accumulato in secoli di donativi e lasciti da popolo, aristocrazia e personalità politiche e religiose, è amministrato dalla Deputazione del Tesoro, ente laico e indipendente dalla Curia napoletana, voluto nel 1601 dagli Eletti dei Sedili e tuttora operante nonostante la loro abolizione nel 1800. Con la difesa della laicità al primo posto, è intuibile come i rapporti tra Curia e Deputazione non siano stati sempre idilliaci. Anche la supremazia di San Gennaro-superpatrono è stata diplomaticamente difesa dalla Deputazione i cui membri, il 19 ottobre, eleganti nei loro frack, spiccano tra le cappe rosse nella processione verso l’altare dove uno di loro agiterà un fazzoletto bianco al momento della liquefazione del sangue. Dei dodici membri della Deputazione, dieci appartengono alle famiglie iscritte nell’albo d’oro della nobiltà napoletana e ai Sedili e due alle famiglie iscritte al Sedile del Popolo.

In questa sorta di concerto dove le dissonanze vanno tenute a bada con cura, il governo fa squillare oggi la sua nota stonata: l’immissione nell’amministrazione di quattro membri nominati dalla Curia, attaccando così le prerogative più importanti della Deputazione: la laicità e l’autonomia. Le deduzioni sono ovvie: ma, per caso, questo piccolo sussulto in positivo del turismo a Napoli, dopo decenni di buio, per merito non certo dei giornali del nord, ma di quelli stranieri, o di un miracoloso passaparola, può far invidia al punto di sottrarre alla città i suoi punti di forza? 

Ma per caso, portandosi Caravaggio e San Gennaro, vogliono impinguare ulteriormente le fitte schiere di turisti che già privilegiano i loro luoghi? Ma avverrà che un bel giorno, affacciandoci dai balconi del Vomero, di Posillipo, di Mergellina e via dicendo, non troveremo più al loro posto Castel Dell’Ovo, il Vesuvio, la collina di San Martino e nemmeno il mare, sostituito da una serie di cordoli solcati da biciclettisti  in gita a Capri?

È il momento di svegliarsi dai torpori con i quali accettiamo, da decenni, i soprusi di una democrazia dittatoriale, se non vogliamo che le cose di casa nostra facciano la fine dell’oro del Banco di Napoli e dello stesso Banco di Napoli, il più antico, che rendeva possibile una politica economica positiva per l’economia di buona parte del Sud. Oggi, il nostro Banco investe e fruttifica altrove. Si potrebbe continuare, ma chiudiamo ricordando una canzone scritta per scherzo da due autori-profeti: Da Cristofaro-E.A.Mario, nel 1922. Si chiama "Napule è na canzona", parla dei sistemi di smontaggio del Vesuvio, del Vomero e degli altri "pezzi" della città studiati da ingegneri e tecnici forestieri, ma non per sfruttamento, come sta avvenendo nella lista  dei "cibi di Napoli da asporto" di oggi, ma per amore, e  concludendo che migliaia di progetti non ci riusciranno a disincastrare Napoli da dove sta. Crediamoci, ma con gli occhi ben aperti sugli ingegneri-pirati animati da ingordigia, ignoranza e disamore dei nostri giorni.





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