Perche' vedere Il processo ai Chicago 7
Il nuovo film di Sorkin sulle rivolte del '68 alla Convention dei democratici
di Giordana Moltedo
Nell’America che si appresta a vivere una tra le elezioni più importanti della sua storia, un film che narra di un fatto storico, realmente accaduto tra il 1968 e il 1969, diventa lo specchio per comprendere il perché il Paese è ancora in fiamme. Il film in questione è Il processo ai Chicago 7, da poco disponibile su Netflix. Il film, scritto e diretto da Aaron Sorkin, fa i conti con una ferita ancora aperta negli Stati Uniti, la guerra del Vietnam. Nello specifico, il film narra del processo che nel 1969 vede coinvolto un gruppo di sette attivisti, accusati di aver cospirato e incitato alle sommosse durante la Convention dei democratici, tenutasi a Chicago nel 1968.
I sette attivisti rappresentano le varie anime della controcultura e dei movimenti che lottano per i diritti civili e contro la guerra in Vietnam. I sette in questione sono Abbie Hoffman (nel film Sacha Baron Cohen) e Jerry Rubin (Jeremy Strong), fondatori del partito Internazionale della Gioventù e della cultura yippie, Tom Hayden (Eddy Redmayne), fondatore del gruppo della sinistra studentesca Students For a Demoratic Society, Rennie Davis (Alex Sharp), attivista del gruppo fondato da Hayden, il pacifista David Dallinger (John Carrol Lynch) e infine gli attivisti Lee Weiner (Noah Robbins) e John R. Froines (Daniel Flatherty). Dalle accuse mosse agli imputati dal procuratore federale Richard Schultz, interpretato da Joseph Gordon Levitt, si evince fin da subito la volontà di screditare, agli occhi dell’opinione pubblica, le battaglie portate avanti dagli attivisti, trasformando il processo in mediatico e politico. Gli imputati e il loro avvocato William Kunstler (Mark Rylance) si appellano ad un processo imparziale e giusto, ma i metodi del giudice Julius Hoffman, interpretato da un superlativo Frank Langella, sono tutto tranne che imparziali e democratici. Quest’ultimo punto emerge in tutta la sua durezza, quando il giudice ordina di legare e imbavagliare l’ottavo imputato, Bobby Seale (nel film Yahya Abdul-Mateen II), fondatore delle Pantere Nere. L’episodio di discriminazione suscita un grande clamore, portando il giudice a separare il procedimento di Seale da quello degli altri attivisti.
Il film di Sorkin si presenta con la struttura del classico legal drama all’americana, che vede l’alternarsi di scene legate al processo, a scene che ripercorrono gli scontri di Chicago. Ciò che va sottolineato è l’ottima contestualizzazione del periodo storico, che ruota intorno ad un processo poco conosciuto. Sorkin, con una carrellata di immagini d’archivio, ripercorre i mesi antecedenti alla Convention dei democratici. Mesi che videro i conflitti inasprirsi ancora di più, causa la decisione di Johnson di arruolare altri giovani americani per rafforzare i contingenti in Vietnam e per le uccisioni di Martin Luther King e di Bob Kennedy, che era candidato alle primarie dei democratici e il cui omicidio avvenne proprio a Chicago. Si arriva così al cuore della vicenda narrata da Sorkin, ovvero quando nell’agosto del 1968, a Chicago, si tiene la Convention dei democratici, in un clima infuocato a causa dalle divisioni interne al partito, che videro sfidarsi l’antimilitarista Eugene McCarthy e l’allora vicepresidente di Johnson, Huber Humpry. La Convention portò tanti giovani a protestare per le vie della città per chiedere la fine della guerra e una discontinuità ai democratici con la presidenza Johnson. L’epilogo di quella vicenda la conosciamo. Humpry venne eletto come candidato dei democratici spianando le porte della Casa Bianca al repubblicano Richard Nixon.
Ma oltre a quest’ottima ricostruzione storica e ad un cast brillante, nel quale vediamo anche Michael Keaton interpretare Ramsey Clark, ex dirigente del dipartimento della giustizia americano che con le sue dichiarazioni riesce a scompaginare le accuse agli attivisti, la piattezza di alcuni momenti cela un’altra volontà, legata ad un aspetto più militante e di denuncia da parte di Sorkin. All’interno di quell’aula, abbiamo l’immagine plastica dell’America di oggi, nella quale si scontrano la visione tutta patria, ordine e famiglia dei repubblicani e conservatori incarnata dal giudice Hoffman e il fermento politico rappresentato dagli attivisti, che portano avanti una battaglia culturale e politica per la conquista di pari diritti e dignità sociale, unendo in un unico fronte donne studenti, afroamericani e gay.
lI film che sta riscuotendo un ottimo successo da parte della critica, sembra avere la strada spianata per la candidatura agli Oscar. Del resto, a scriverlo e dirigerlo, è Sorkin, ovvero uno tra gli sceneggiatori più brillanti del cinema americano, che dopo l’esordio dietro la macchina avvenuto con Molly’s Game è arrivato al suo secondo film da regista.