Cinema&Camorra, racconto del male
Da Il Camorrista a Perez: breve storia dei gangster movies made in Naples
di Mario Vittorio D'Aquino
La città di Napoli, come un po’ tutta la Campania, è legata al fenomeno della camorra. Secondo alcuni studiosi, tra cui Marc Monnier, rettore dell’università di Ginevra, la prima testimonianza di questo termine è riscontrabile in età medievale e ha un’origine sardo-pisana. Gamurra era appunto il termine che serviva ad indicare una banda di malavitosi sardi che controllavano l’isola per conto della Repubblica oligarchica di Pisa. Pare che questi personaggi si fossero poi trasferiti nel territorio campano, stabilendovisi definitivamente. Ancora oggi il fenomeno principe del pezzo è in attività, in Italia e all’estero. Per Alessandro Barbero, famoso storico dell’età medievale, anche Masaniello, che capeggiò la Rivoluzione Napoletana del 1799, era un camorrista o meglio un piccolo signore di malaffare di quartiere (guappo in dialetto popolare) che operava con le consuete prepotenze malavitose: intimidazioni, sfruttamento della prostituzione, richiesta del pizzo ovvero un accordo illegalmente patteggiato tra un commerciante o artigiano e un camorrista che offre “protezione” (fisica) in cambio di soldi, gioco d’azzardo…
Oltrepassando il periodo risorgimentale/post-unitario in cui si sollevò il fenomeno del brigantaggio, che molti riconoscono come il vero inizio della storia della malavita italiana, che racchiudeva tutte quelle persone che rifiutavano di riconoscere Vittorio Emanuele di Savoia come loro Re e che operavano come fantasmi nell’illegalità, tutto il periodo del Ventennio, arriviamo alla camorra degli anni ’50 che, dopo aver collaborato con americani e inglesi per allontanare i nazisti (nacque in quel momento il mito della scugnizzerìa) durante la Seconda guerra mondiale, si stava radicando simbioticamente nella cultura e nel vivere campano.
Assieme alla mafia siciliana, la criminalità organizzata napoletana iniziava ad intrattenere rapporti con altre associazioni a delinquere soprattutto statunitensi e sudamericane tramite il commercio di sigarette di contrabbando.
Negli anni ’70 il suddetto fenomeno vide la sua massima espansione. Nacque la NCO (Nuova Camorra Organizzata) fondata da ‘O Professore Raffaele Cutolo che si contrappose alle famiglie malavitose dei Bardellino, dei fratelli Nuvoletta (che incontreremo di nuovo più tardi) e del boss Michele Zaza. Cosa nostra (termine che sta ad indicare la mafia siciliana) provò più volte a convogliare nel suo arsenale questi clan dispersi in tutto il territorio campano. La sanguinosa faida si concluse con la sconfitta della NCO e con Cutolo spedito in galera. Le condannabili gesta del boss di Ottaviano sono state riportate nel film Il Camorrista di Giuseppe Tornatore (1986) che riscuote tutt’oggi molto successo. Crebbero di importanza e credibilità molte famiglie di Casal di Principe tra cui gli Schiavone. Il capoclan era Carmine colui che si pentì molti anni dopo e più volte fu intervistato in trasmissioni televisive, deceduto ormai da qualche anno. Per sua stessa ammissione il clan dei casalesi era di stampo mafioso e faceva capo a Cosa Nostra ma questa non fu l’unica macchia della famigerata associazione a delinquere: essa – oltre ad uccidere il boss Bardellino ed essere i mandanti dell’omicidio di don Beppe Diana, un prete che si oppose più volte all’ambiente camorristico, soggetto di ispirazione di una mini-serie Rai omonima – fu al centro dello scandaloso circolo di smaltimento di sostanze tossiche e radioattive di aziende ed industrie provenienti dal Nord Italia (Emilia Romagna, Lombardia) e fuori dal nostro Paese (Germania) che è costato alla regione campana – per anni – un attacco mediatico e politico feroce per la disorganizzazione nella raccolta rifiuti.
Il famigerato “triangolo della morte” o Terra dei fuochi che comprendeva le province di Acerra-Marigliano-Nola fu per anni lo “sversatoio d’Italia” e si registrano, ancora oggi, tassi di tumori più alti della media nazionale. Veleno (2017) diretto da Diego Olivares e tratto da una storia vera, è il film che prova ad addentrarsi nel cuore delle famiglie di agricoltori e contadini che si sono dovuti o voluti piegare a questa Chernobyl 2.0. Troviamo in questa pellicola attori napoletani veraci come Massimiliano Gallo (Cosimo, il protagonista) e sua moglie, la bellissima Luisa Ranieri (Rosaria) che cercano di difendere i loro campi e le loro coltivazioni dalle minacce dei criminali. Notiamo anche la partecipazione di Salvatore Esposito (Rino Caradonna) nelle vesti di un avvocato perfido che intende perseguire le manovre illecite dello smaltimento e candidarsi sindaco. Il film quindi dimostra come si siano sporcati di affari corrotti centinaia di colletti bianchi e imprenditori eccellenti. Numerose sono le volte che giunte comunali o circoscrizioni si sono sciolte per corruzione, affiliazione ad associazioni a delinquere e per infiltrazione mafiosa con un conseguente mutamento del modus operandi dei camorristi che da sicari e contrabbandieri nudi e crudi sono diventati impresari, aiutano candidati sindaci o consiglieri nelle campagne elettorali, riciclano denaro, trafficano droga in campo internazionale, vincono appalti fittizi, corrompono avvocati, giudici, commissari antimafia, alte figure militari…
Questo giro proibito lo aveva ben capito un noto giornalista che ha pagato con la vita le sue intuizioni: parliamo chiaramente di Giancarlo Siani, un giovane vomerese inviato nella testata giornalistica in cui lavorava a Torre Annunziata. Raccontava degli accordi sporchi tra il sindaco torrese e il boss della zona Valentino Gionta alleato dei Nuvoletta. Per ricordare la sua figura, in collaborazione col fratello, divenuto Assessore e deputato, Paolo Siani, si è creato un film nel 2009 chiamato Fortapàsc diretto da Marco Risi, anche se è doveroso ricordare un altro bel film sulla figura del giornalista ucciso, Ed io ti seguo (2003,) scritto e diretto da Maurizio Fiume e intepretato da Yari Gugliucci. Il lungometraggio di Risi ripercorre l’ultimo anno di vita dell’ambizioso giornalista interpretato da Libero De Rienzo. Il reporter era riuscito a stringere accordi con personalità importanti e, attraverso le sue denunce, aveva capito il circolo vizioso che toccava tutte le più importanti famiglie mafiose dell’area torrese-stabiese: droga, contrabbando, appalti erano questi i temi ricorrenti del giornalista che nel frattempo era in prova per il quotidiano Il Mattino. Il 23 settembre 1985, davanti la sua abitazione, fu sparato da sicari dei Nuvoletta, i quali furono messi in cattiva luce dopo un articolo di Siani che li dipingeva come traditori, appellativo imperdonabile per i fratelli malavitosi. Nel luogo dell’omicidio oggi possiamo trovare una targa e un murales commemorativo e la sua macchina, una Mehari verde, è esposta al PAN, il museo delle Belle Arti, ed è stata usata anche nel film.
La filmografia sulla camorra è variegata come variegati sono i modi per comunicare al pubblico il veleno – appunto – tossico che è. Un modo tragicomico per raccontarla lo possiamo trovare nella pellicola Noi e La Giulia (2015) diretta da Edoardo Leo che è uno dei protagonisti assieme a Luca Argentero e Stefano Fresi. Questi, insoddisfatti e irrealizzati nelle proprie attività lavorative, decidono di acquisire un casale nell’entroterra campano per trasformarlo in un agriturismo. In loco scopriranno che questo casale, venduto ad una cifra blu, è in realtà un vero e proprio pacco (truffa) ma grazie all’intervento di un amico di uno di loro (Claudio Amendola) riescono a riparare “alla meno peggio” le disastrose condizioni del locale. Quando proprio tutto sembra andare per il meglio, arrivano le prime avvisaglie che quel posto è controllato da un’anonima famiglia malavitosa. Primo inviato, Vito (Carlo Buccirosso) con la sua macchina Giulia: è un camorrista “innocuo” e, dopo un diverbio acceso, viene preso in ostaggio e la sua automobile seppellita nella buca della piscina. Ma Vito è un appassionato di musica classica e la sua batteria inarrestabile rimane accesa e con essa la radio che emanerà a più riprese la sua playlist personale. Il simpatico sicario diventerà ben presto uno di loro pur venendo a conoscenza del misfatto della macchina, smascherando tutto il suo evidente desiderio di non voler mai essere voluto diventare un guappo vero. Casal de’ pazzi riesce con numerosi sforzi ad inaugurare ed aprire ai clienti vogliosi di scoprire il mito nascosto della musica ma i componenti del clan torneranno presto a cercare Vito…
Un modo innovativo per raccontare vicende criminali – sebbene fantasiose – è quello di rendere lo sfondo della Napoli di quaranta o cinquant’anni fa un fumetto: è il caso del film 5 il numero perfetto (2019, disponibile su Netflix) in cui Peppino Lo Cicero (Toni Servillo) è un camorrista “in pensione” vedovo e con a carico un figlio. Quest’ultimo impegnatosi nell’eliminare un cartomante, viene ucciso nello scontro. Il padre quindi è costretto a tornare in azione per vendicarlo e salvare sé stesso aiutato dal fidato compagno Toto ‘O Macellaio (Carlo Buccirosso) e dalla storica amante Rita (Valeria Golino). Nella suddivisione in capitoli della pellicola, proprio come se fosse la saga di un fumetto, s’intravede una netta riflessione di Peppino Lo Cicero sulla società e sulla volontà di voltare pagina. Una vita tranquilla l’avrebbe voluta trascorrere – una volta per sempre – Antonio De Martino, sotto il falso nome di Rosario Russo (ancora Toni Servillo nel film Una vita tranquilla disponibile su Amazon Prime Video), un ex criminale, costretto a scappare in Germania e cambiare identità dandosi per morto. Dopo anni, con una nuova famiglia e un agriturismo di sua conduzione, riceve un’inaspettata visita del figlio Diego (Marco D’Amore, lo stesso di Ciro L’Immortale di Gomorra) che scombussola la sua stabilità emotiva raggiunta con fatica. Una serie di episodi negativi risucchiano in un vortice il padre e il figlio, per colpa anche del gregario di Diego, Edoardo (Francesco Di Leva), che capisce del legame parentale nascosto tra i due e le vicende si incrinano in maniera vertiginosa. Per Antonio alias Rosario, non sarà più una vita tranquilla.
L’attore Marco D’Amore – nelle vesti di Francesco Corvino – lo ritroviamo anche nel film Perez. (2014). Protagonista è un avvocato penalista, Demetrio Perez (Luca Zingaretti). Quest’ultimo riceve la visita in ufficio del boss rivale di Corvino intenzionato a costituirsi e pentirsi a sfavore di Francesco ma ad una condizione: l’avvocato deve recuperare una partita di diamanti di contrabbando per lui. Ma Corvino è anche il fidanzato della figlia dell’avvocato e quando quest’ultimo lo scopre, i piani di Perez si complicano e Francesco diventa spietato.
Una menzione d’onere e non d’onore è dedicata a Gomorra romanzo, Gomorra film e Gomorra serie tv che hanno generato plausi e critiche su larga scala: dipingere Napoli come epicentro malavitoso in cui nessuna forma di civiltà e giustizia è presente o riesce a contrastare il “male” vuol dire confondere la realtà. Lo scenario che il fenomeno Gomorra e il suo scrittore volevano trasmettere era una denuncia sugli affari illeciti di tutta la provincia napoletana ma ciò ha scaturito un effetto completamente diverso, trasformandosi in uno show in cui vengono mistificati personaggi di pessima fama. Un boomerang che ha nociuto alle giovani generazioni sempre poco pronte e disattente a comprendere il marcio che gira attorno a queste figure dipinte come immortali ed emulate dalla scugnizzerìa napoletana che non aveva certo bisogno di riconoscersi in altri punti di riferimento sbagliati.