Il solstizio dâ??inverno

La notte più lunga dell'anno

    di Rosamaria Lentini

Il 21 dicembre è la notte più lunga dell’anno: un periodo magico dedicato all’aura aetas saturnina

Il 21 dicembre, giorno d’inizio del Segno del Capricorno, cade il solstizio d’inverno. È il momento nel quale il sole dal Segno della Bilancia, dove ha iniziato la sua apparente discesa, giunge al punto più meridionale dell’emisfero australe, dal quale inizia la sua apparente risalita. Mentre nel solstizio estivo il 21 giugno nel Segno del Cancro si verifica il giorno più lungo dell’anno, all’inverso accade il 21 dicembre nel Segno del Capricorno nel quale abbiamo la notte più lunga dell’anno.

Il Sole, come portatore di calore e di luce, è al centro di tutte le religioni delle antiche civiltà, e non c’è da stupirsi, perciò, che il solstizio estivo e quello invernale siano sempre stati considerati periodi magici, come testimoniano tanti antichi riti, propagatisi poi nella religione cristiana e nel folklore.

In questo scritto ci fermeremo su uno di quei riti in particolare, i Saturnalia.

A Roma in epoca imperiale dal 17 al 23 dicembre, quando il sole solstiziale, il sole bambino, rinasceva e tornava a ricomparire nel cielo, si festeggiavano i Saturnali. Erano feste così antiche, che le loro origini non sono più rintracciabili, ma le notizie che ci forniscono gli autori latini, Macrobio in particolare, sono più che sufficienti a comprendere il loro significato.

Saturno era il dio che presiedeva a questo evento. Per sua grazia, se pure per poco, il mondo aveva un sovvertimento: scomparivano le discriminazioni tra liberi e schiavi, cadevano i divieti soliti, si sospendevano le guerre, si usufruiva di libertà impensabili in altro periodo, come, ad esempio, poter giocare a dadi per tentare la sorte. Si ritornava all’aurea aetas, la mitica età dell’oro.

Ma perché il mondo, una volta l’anno, subiva questo ribaltamento e tornava in un così remoto passato?

Questa domanda apre l’affascinante argomento dell’Eterno ritorno. Presente in tutta l’area mediterranea e paleorientale, l’Eterno ritorno era sempre preceduto da una fase di dissoluzione dell’ordinamento precedente, quindi era un ritorno al caos, preludio indispensabile alla nascita dell’anno nuovo, il nostro Capodanno, nel quale, non a caso, la speranza e l’augurio sono di un anno nuovo e una vita nuova !

Non è importante il periodo nel quale iniziava il nuovo anno, poteva essere, variando i fattori climatici e culturali, novembre, dicembre, marzo, aprile, luglio per gli Egizi. Ciò che era costante e che ritroviamo anche nei Saturnali, era il bisogno di fare coincidere la fine di un periodo con la nascita di un altro. Era il bisogno di rigenerare il tempo, di ricongiungersi a quell’illo tempore nel quale era avvenuta la creazione del cosmo, “quando gli uomini in un’eterna giovinezza vivevano insieme agli dei, si nutrivano di ghiande e di miele, non c’era dolore né affanno alcuno, la terra senza lavoro dava il suo frutto e si moriva come vinti dal sonno”(Esiodo).

Questo Grande Tempo, il tempo delle origini, poteva essere segnalato dal solstizio e abbinato alla luce, poteva essere collegato alla comparsa della vegetazione, poteva avere un cerimoniale diverso, ma ciò che non cambiava era la possibilità di reinserirsi nel ritmo cosmico, in un cosmo ancora libero da tutto ciò che potesse riferirsi al male. Era il ritorno del sole e della luce che segnalavano la nascita della vita dopo il loro lento declino iniziato con l’equinozio d’autunno. Questa sintesi dei Saturnalia, incita ad una domanda: cosa è rimasto di questo rito e di tanti altri analoghi nella nostra cultura del XXI secolo?

Soprattutto se l’anno giunto al suo compimento è stato negativo, c’è l’aspettativa che si chiuda un periodo e se ne apra un altro migliore e gli auguri che ci scambiamo a mezzanotte, brindando al nuovo anno, ne fanno fede. Anno nuovo e vita nuova, è la frase che aleggia nell’aria, e la vita nuova non è altro che l’eredità di quel lontanissimo passato nel quale veniva festeggiato il nuovo sole che dall’emisfero australe risaliva in quello boreale. E i fuochi d’artifizio che, scoccata l’ora fatidica, illuminano il cielo, non sono altro che una metafora del sole e della luce che torneranno a risplendere. Ed è sempre un omaggio al sole l’usanza di rimanere alzati fino all’alba per vederlo sorgere. Come pure altre due consuetudini rimandano, in modo inequivocabile, al nuovo che verrà: gettare dalla finestra roba vecchia (gesto per fortuna in disuso) e indossare qualcosa di nuovo e di rosso, il colore, ossia, che richiamando quello del sangue, è simbolo di vita parimenti al sole.





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